Psicologia evoluzionistica

[cml_media_alt id='2463']gerd_gigerenzer-200[/cml_media_alt]Come abbiamo visto l’evoluzione naturale ha selezionato i nostri cervelli per funzionare in un certo modo, automatizzando determinati tipi di ragionamento e di comportamento. Questo perché il fatto di vivere ed agire in un ambiente che è quello naturale fa sì che alcuni ragionamenti possano dare per scontate delle ipotesi che sono sarebbero sempre verificate, risparmiando tempo computazionale e aumentando l’efficienza dei ragionamenti e migliorando i tempi di reazione. Questi temi sono stati affrontati in maniera approfondita da due studiosi che sono riportati in fotografia: Gerg Gigerenzer a sinistra e Daniel Goldstein a destra.[cml_media_alt id='2465']Dan-Goldstein-200[/cml_media_alt].
Gigerenzer e Goldstein, in contrasto con l’approccio negativo che emerge dai lavori di Tversky e Kahneman, di cui abbiamo già detto, hanno proposto un approccio assolutamente controintuitivo: “Less is more“. Secondo i due studiosi, infatti, non solo le euristiche che attua il nostro cervello per affrontare determinati problemi non sono sempre dei ragionamenti che portano all’errore, ma si possono individuare situazioni in cui applicare un’euristica ad un insieme di dati insufficienti è più proficuo che trattare gli stessi dati in maniera rigorosa.
Per esempio, in uno studio del ’95 ad un gruppo di studenti americani e tedeschi era stato chiesto quale fosse la città americana più popolosa fra San Antonio e San Diego. Gli studenti americani risposero correttamente in circa i 2/3 dei casi. Gli studenti tedeschi nel 100%. Analogamente, in un altro studio del ’97, a due gruppi di studenti britannici e turchi fu chiesto di prevedere gli esiti del terzo round della English FA Cup. Entrambi i gruppi indovinarono circa il 60% degli esiti nonostante gli studenti turchi fossero completamente ignoranti sull’argomento.
In entrambi questi esempi la mancanza di informazione degli studenti tedeschi e turchi li ha portati ad utilizzare un’euristica che si è rivelata molto efficiente: “Non ho mai sentito nominare San Antonio, mentre San Diego è molto nota, quindi ci sono ottime probabilità che sia più grande e popolosa”. Hanno usato una Euristica di Riconoscimento che è un criterio di scelta che si rivela perfettamente valido tutte le volte in cui vi sia una forte correlazione fra l’informazione che vogliamo inferire e la conoscenza generale che si ha degli oggetti che appartengono alla classe analizzata.
Un altro importante aspetto della Psicologia Evoluzionistica riguarda la valutazione “ingenua” delle probabilità. Laddove gli esperimenti di Tversky e Kahneman avevano mostrato che chiedendo ai non specialisti di valutare le probabilità di determinati eventi questi incappavano in una quantità di errori di valutazione, gli esperimenti di Girgerenzer, Goldstein e altri studiosi dell’università della California Leda Cosmides e John Tooby, hanno dimostrato che la mente umana è perfettamente in grado di effettuare delle inferenze statistiche corrette, purché siano presentate in maniera “naturale”.
Come esempio possiamo analizzare il seguente quesito.

Una casa farmaceutica sta conducendo dei test per valutare l’efficacia di un nuovo esame diagnostico. Gli esiti dei test fatti finora hanno evidenziato i seguenti dati:
-Una persona sottoposta al test ha il 4% di probabilità di aver contratto la malattia.
-Se una persona ha contratto la malattia, ha il 75% di probabilità di avere una reazione positiva al test.
-Se una persona non ha contratto la malattia, ha comunque il 12.5% di probabilità di avere una reazione positiva al test.
Supponiamo che un paziente venga sottoposto al test e questo abbia un esito positivo, qual è la probabilità che abbia il paziente abbia effettivamente contratto la malattia?

La maggioranza delle persone non esperte di statistica tendono a rispondere che la probabilità è del 75%. Si tratta ancora una volta della disattenzione per le frequenze di base di cui abbiamo parlato nel paragrafo 3. La risposta corretta in questo caso è il 20%!
Per i più scettici diciamo che il calcolo corretto si effettua utilizzando la formula di Bayes che tiene conto non solo dei “veri positivi”, che in questo caso ammontano al 75%, ma anche delle probabilità associate anche alle altre possibilità in gioco, quelle in cui il test fallisce di individuare la malattia e quelle in cui il test risulti positivo anche in assenza della malattia e ovviamente le frequenze di base, cioè la probabilità di avere o non avere la malattia indipendentemente dal fatto di aver effettuato il test.

\displaystyle p(malato|positivo)=\frac{p(positivo|malato)\cdot p(malato)}{\left [ p(positivo|malato)\cdot p(malato) \right ]+\left [ p(positivo|non\,malato)\cdot p(non\, malato) \right ]}

in numeri

\displaystyle p(malato|positivo)=\frac{75\cdot 4}{\left [ 75\cdot 4 \right ]+\left [ 12.5\cdot 96 \right ]}=20\%

L’incapacità di raggiungere il risultato corretto in maniera intuitiva viene giustificato dalla psicologia col fatto che, siccome le probabilità di eventi singoli non sono osservabili, il nostro cervello non può aver evoluto un sistema per valutarle.
Un ulteriore approfondimento mostra però che il nostro cervello ha potuto evolvere una capacità di valutare le frequenze basandosi sulla memoria delle esperienze passate.
E infatti se il quesito precedente viene rielaborato come segue:

Una casa farmaceutica sta conducendo dei test per valutare l’efficacia di un nuovo esame diagnostico. Gli esiti dei test fatti finora hanno evidenziato i seguenti dati:
-4 persone su 100 esaminate avevano contratto la malattia.
-3 delle 4 persone che avevano contratto la malattia hanno avuto una reazione positiva al test.
-12 delle 96 persone che non avevano contratto la malattia hanno comunque avuto una reazione positiva al test.
Se il test venisse somministrato a 100 persone, quante persone ci attendiamo che abbiano una reazione positiva, e quante ci attendiamo che abbiano effettivamente la malattia?

Le risposte date dai soggetti a cui viene posto il quesito sono prevalentemente corrette, in quanto è molto più naturale pensare che, se su 100 persone osservate, c’erano 3 persone malate e positive e 12 sane e positive, nel nuovo campione, ci saranno in tutto 15 (cioè 3 + 12) persone con reazione positiva e che 3 di queste saranno realmente ammalate.
Per concludere, possiamo dire che risultati come questo dimostrano che si possono rendere semplici dei difficili problemi di ragionamento probabilistico, trasformandoli in problemi di frequenze.