[cml_media_alt id='590']liz_taylor[/cml_media_alt]Degli occhi unici al mondo hanno contribuito notevolmente al successo di una grande attrice quale è stata Liz Taylor.
Il colore viola dei suoi occhi si deve ad un equilibrio delicato di tanti fattori, genetici prima e fisiologici poi, su cui cercheremo di far luce nell’articolo che segue.

Il colore degli occhi: come si manifesta

Protagonista di questo articolo è infatti l’iride, un disco di tessuto di circa 10mm di diametro e uno spessore che varia da un decimo di millimetro partendo dall’esterno, cresce fino a un massimo di circa 6 decimi nella zona del collaretto (indicato nell’immagine seguente) e diminuisce nuovamente fino circa un decimo in prossimità del forame pupillare.

Sezione_iride

Il collaretto segna il confine tra il terzo interno ed i due terzi esterni, ed è quindi possibile individuare due porzioni nell’iride che prendono il nome di zona ciliare dell’iride o esterna e zona sfinterica dell’iride o interna.

Come sappiamo, la funzione dell’iride è di dosare la quantità di luce che può entrare nell’occhio attraverso la pupilla. A questo scopo nell’iride sono presenti due muscoletti, il muscolo dilatatore e il muscolo sfintere dell’iride. Il primo ha fibre disposte radialmente in modo che la loro contrazione provochi un allargamento della pupilla. Il secondo è disposto ad anello attorno alla pupilla e la sua contrazione ne determina il restringimento.

Se invece sezioniamo il tessuto irideo scopriamo che esso è formato da 5 strati di cellule: lo strato anteriore, lo stroma, lo strato muscolare di cui abbiamo detto e l’epitelio pigmentato posteriore (IPE).

Ritornando all’argomento di questo articolo, cioè il colore dell’iride, esso è collegato, come è facile aspettarsi, alla presenza di melanina.

Il nome melanina accomuna diverse sostanze, sia animali che vegetali, dal colore bruno o rossastro come suggerisce il nome derivante da dal greco antico μέλας (mèlas = nero). Essa ha il compito di proteggere i tessuti dall’azione distruttiva dei raggi ultravioletti che, raggiungendo le molecole organiche possono spezzarne i legami creando radicali liberi e sostanze potenzialmente dannose. Per fortuna la melanina è particolarmente efficiente ed è in grado di assorbire il 99% dei raggi UV che la raggiungono trasformandoli  in calore. La melanina è prodotta in cellule che sono dette quindi melanociti ed è raccolta al loro interno in organelli detti melanosomi.
Lo strato dell’iride che abbiamo chiamato epitelio pigmentato posteriore (IPE) è costituito da un doppio strato di cellule pigmentate ricche di melanina, strettamente fuse fra loro. Esso si forma per differenziazione del neuroectoderma ed è di colore praticamente nero per tutti gli individui che non siano affetti da qualche forma di albinismo.

Questo strato di melanociti ha essenzialmente il compito di impedire la luce di raggiungere il cristallino se non attraverso la pupilla e non contribuisce granchè alla definizione del colore dell’iride. La presenza di questo strato più scuro può determinare al massimo delle sfumature grigie in quegli occhi in cui lo stroma è particolamente sottile.
Ciò che effettivamente determina il colore dell’iride è l’interazione con la luce dello stroma e dello strato anteriore.
Anche lo strato anteriore è ricco di melanociti, ma questi, nello sviluppo embrionale, hanno la stessa origine dei melanociti della pelle. Quindi anche la melanina che essi contengono avrà una variabilità correlata a quella della pelle e, in generale, al fototipo dell’individuo. Infatti i melanociti della pelle possono produrre due tipi di melanina, l’eumelanina e la feomelanina fra cui la prima ha sfumature più scure e la seconda rosse o gialle e questo si riflette anche sulle tonalità che assume l’iride.
Se luce che investe lo strato anteriore dell’iride trova una grande quantità di melanina e questa è soprattutto composta da eumelanina, essa sarà assorbita, col risultato che l’iride in questione apparirà marrone o castana.
Se al contrario i melanociti producono poca melanina, la luce potrà proseguire il suo viaggio e diffondersi nello stroma.
Lo stroma è un tessuto ricco di fibrille di collagene e la luce attraversandolo subisce un fenomeno di diffusione detto Effetto Tyndall che è molto simile al Rayleigh Scattering, cioè allo stesso fenomeno per cui il cielo diurno appare blu. Il collagene dello stroma, e l’atmosfera nel cielo, hanno un ruolo analogo, facendo sì che, di tutte le frequenze di cui è composta la luce bianca che li attraversa, solo quelle relativamente alte, diciamo nella zona del blu, vengano diffuse. Questo genera il colore blu che, mescolandosi con l’effetto della melanina, genera le varie sfumature dal blu al marrone come possiamo vedere nella foto sotto.

variazione_colore

Infine, ad arricchire l’aspetto dell’iride, vi possono essere varie nella distribuzione delle fibre di collagene e di melanociti, tali da generare una quantità innumerevole di pattern diversi.
Ne consegue che l’iride è una struttura molto complessa, con un grado di complessità che è stato stimato superare i 240 gradi di libertà. Per questo motivo si stanno affermando sistemi di sicurezza e riconoscimento che si basano sulla scansione dell’iride.

Nella foto che segue possiamo vedere tre macro-classi in cui si possono dividere i colori dell'iride nel genere umano: blu, verde/nocciola e marrone; a sinistra vediamo il caso senza anello peripupillare e a destra con anello peripupillare.

variazione_colore_dettaglio

Nell'iride possono trovarsi anche delle irregolarità, difetti e disuniformità del colore legate a vari fattori.
Nell'esempio mostrato sotto sono evidenziate: 1. Cripte di Fuchs, cioè sone di moderata atrofia dello stroma; 2. Nevi, cioè punti di accumulo della melanina; 3. Noduli di Wolfflin, punti di accumulo di fibrille di collagene; 4. Pliche circolari, sottili solchi concentrici alla pupilla, i quali corrispondono a variazioni di spessore dell'epitelio pigmentato.

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Infine, nell'immagine seguente sono messe a confronto due formazioni dovute ad accumuli puntiformi di tessuto connettivo: 1. Macchie di Brushfield, presenti nei bambini affetti da sindrome di Down i quali hanno il 35% di svilupparle; 2. Noduli di Wolfflin, osservati in soggetti normali.

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