Teoria-Ipotesi
La ricerca della verità accompagna l’umanità da sempre. Se ciò che distingue gli esseri umani dal resto del mondo animale è la capacità di spingere le proprie rappresentazioni mentali oltre il contingente, oltre il binomio stimolo-reazione, allora la capacità di attribuire dei valori di verità alle nostre proiezioni mentali è assolutamente indispensabile affinché queste abbiano una qualche utilità pratica, oltre che, ovviamente, evoluzionistica.
Per semplificare, un essere umano primitivo che costruisca un riparo per la notte deve essere in grado di capire se la sua costruzione sarà adatta a resistere alle intemperie, all’usura, all’attacco dei predatori possibilmente prima che queste si verifichino, prima che sia troppo tardi.
Quindi, più le rappresentazioni mentali diventano astratte e proiettate nel futuro, più diventa importante, per l’intelligenza umana, saper distinguere quando queste corrispondano alla verità e quando no.
In breve, gli esseri intelligenti devono essere in grado di formulare delle teorie sul funzionamento del mondo e sulle conseguenze delle proprie azioni.
E qui ho usato, per la prima volta in questo paragrafo, la parola “teoria” che, tanto per cambiare, nel linguaggio comune viene usata in modo intercambiabile con altri termini mutuati anch’essi dalla filosofia e dalla logica ma che, a rigore, avrebbero significati diversi. Ma prima di entrare nel dettaglio di cosa sia esattamente una teoria scientifica, è necessario mettere le cose in prospettiva storica.
Per secoli, filosofi e scienziati (e per secoli le due figure sono state coincidenti) hanno avuto una fiducia incrollabile nella forza del ragionamento deduttivo per raggiungere la verità e la comprensione del mondo. Agli inizi del ‘600 Cartesio aveva dichiarato chiaramente che l’unica certezza che può avere una mente pensante, da cui partire per costruire tutto il resto del sapere, fosse proprio quella, appunto, di essere pensante! (Il famoso “Cogito ergo sum”).
In questo egli segue, ancorché in maniera meno estremizzata, la tradizione che, già 600 anni prima, aveva portato Anselmo d’Aosta a formulare l’altrettanto celebre prova ontologica grazie alla quale la forza del ragionamento era tale da garantire l’esistenza nientemeno che di un essere necessario e onnipotente.
Il razionalismo si lascia sedurre dalla forza che hanno i ragionamenti logici nel dimostrare la verità. Come per esempio il cosiddetto modus ponens, che è alla base di molte dimostrazioni matematiche. In simboli il modus ponens si rappresenta così:
Il cui significato è: quando una data una proposizione P è vera, lo è anche una certa proposizione Q, e, nella fattispecie, la proposizione P è effettivamente vera, allora anche la proposizione Q è vera.
Per banalizzare, rientrano nel caso di cui sopra tutti i ragionamenti del tipo: “quando piove il mio terrazzino si allaga e in questo momento sta piovendo, quindi il mio terrazzino è sicuramente allagato”.
Parallelamente alla concezione di Cartesio, ma anche di altri nomi celebri della scienza e della filosofia come Galileo o Spinoza, che oggi definiamo Razionalismo, vi è sempre stata una corrente alternativa, che pone le sue radici nel pensiero di Aristotele, e che oggi denominiamo Empirismo. Per gli empiristi, il punto di partenza per la conoscenza, non è la ragione, ma l’esperienza in quanto solo attraverso di essa è possibile dare dei valori di verità certi a delle proposizioni da cui partire per fare i propri ragionamenti. Per rifarsi all’esempio di cui sopra, la semplice conoscenza della relazione fra pioggia e stato del terrazzino, per quanto rigorosa possa essere stata la sua deduzione, non dice nulla sullo suo stato reale, allagato o meno. Per conoscere con certezza se il terrazzino sia allagato è necessario sapere se stia effettivamente piovendo. E questo è possibile solo attraverso una osservazione sperimentale.
Ovviamente anche una filosofia basata sull’osservazione sperimentale ha i suoi limiti. Osservare un fenomeno può dare delle informazioni che in linea di principio possono essere considerate assolutamente vere, ma solo riguardanti lo specifico fenomeno osservato. Non ci dice nulla su quali potrebbero essere i risultati di analoghe osservazioni fatte per esempio a distanza di molti anni. Questo approccio manca di generalità.
Il dibattito fra questi opposti ha dominato la filosofia occidentale fino agli inizi del ‘900 quando Karl Popper mette in evidenza il fatto che la pretesa di verificare una teoria scientifica è solo un mito. Per verificare una teoria sarebbe necessario osservarne tutte le possibili conseguenze, attraverso delle misurazioni. E in un sistema infinito questo è semplicemente impossibile.
Ciò che si può fare, invece, è falsificare una teoria, effettuando delle misure e degli esperimenti i cui esiti siano in disaccordo con essa.
Dalle considerazioni di Popper nasce la moderna interpretazione scientifica della parola teoria che potremmo riassumere come segue.
“Una teoria scientifica è un’asserzione generale volta a spiegare ciò che è confermato da tutte le prove disponibili, in modo che possa essere usata per prevedere nuovi fenomeni mai osservati”.
Ciò che è importante è il modo con cui nasce e si evolve una teoria. La scienza non inizia con le osservazioni, ma con delle congetture, ossia delle ipotesi, che lo scienziato cerca in seguito di confutare attraverso la critica e il controllo (in particolare l’esperimento e l’osservazione). Una congettura che ha resistito a una serie di controlli severi può essere accettata, ma solo provvisoriamente. Non è infatti mai possibile affermare con certezza la verità di una teoria, legge o generalizzazione che sia, perché ognuna di queste potrebbe crollare al prossimo controllo e alla prossima osservazione.
Affinché possa essere applicato questo metodo di confutazione, la teoria scientifica deve possedere un insieme di leggi che descrivono con precisione un insieme di fenomeni e deve essere in grado di fare previsioni verificabili. Una solida teoria scientifica si basa su un corpo di evidenze abbastanza ampio. Non è quindi sufficiente un unico esperimento per affermare che una teoria sia vera. E soprattutto, qualsiasi esperimento usato per provare la teoria deve essere riproducibile, almeno come simulazione, non può essere una questione di caso, o di fortuna.
Nell’interpretazione comune della parola teoria, invece, si rimane spesso vincolati alla prima parte del processo che porterebbe alla nascita di una vera teoria: l’ipotesi.
Come abbiamo visto, alla base di una teoria vi è sempre una congettura iniziale che riguarda l’esito atteso di una osservazione sulla base di talune condizioni iniziali. Presa da sola questa ipotesi iniziale non ha nessun valore scientifico, ma si tratta essenzialmente di una opinione personale dello scienziato che la enuncia. E’ questa apparente soggettività che caratterizza l’accezione negativa che ha assunto l’espressione “è solo una teoria” nel linguaggio comune. In questo caso l’espressione corretta sarebbe: “è solo un’ipotesi“!
In una vera teoria scientifica però, l’ipotesi iniziale è solo il punto di partenza per una formulazione rigorosa, in cui il fenomeno che si sta studiando viene descritto attraverso grandezze misurabili. Tali grandezze sono legate fra loro da formule matematiche e vengono elaborati degli esperimenti che, in maniera diretta o indiretta, possono confutare i risultati attesi, previsti dalle suddette formule.
Quando si parla di teoria, non ci si riferisce ad un’idea balzana che può essere apparsa nella mente di uno scienziato qualsiasi, ma al frutto del lavoro, spesso, di molte persone, basato sui risultati acquisiti da altrettanti studi nel corso degli anni, che hanno elaborato i concetti e condotto esperimenti per controllarne la validità, avendo cura di esporre le idee e i metodi utilizzati affinché chiunque possa rifare i calcoli, ripetere gli esperimenti e trovare gli stessi risultati.
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