La tradizione vuole che Galileo Galilei abbia scoperto la legge dell’isocronicità delle oscillazioni del pendolo osservando quelle della lampada per incenso che, ai suoi tempi, era sospesa al centro della navata del duomo di Pisa e che vediamo nell’immagine qui di lato. Per confrontare il periodo delle oscillazioni di questo pendolo Galileo utilizzò come riferimento l’orologio più preciso disponibile al momento: il proprio battito cardiaco.
Senz’altro il battito cardiaco può essere un buon indicatore di riferimento per valutare una regolarità periodica come quella delle oscillazioni del pendolo, ma oggi sappiamo che l’orologio cardiaco è tutt’altro che preciso. Anzi esso risulta tanto più impreciso quando più un individuo è in buona salute.
Vediamo come.
Un motore autosufficiente
Prima di affrontare quello che rappresenta veramente il cuore di questo articolo, mi si perdoni il gioco di parole, spendiamo qualche parola per farci un idea generale del funzionamento della nostra pompa biologica.
Innanzitutto un richiamo di tipo filologico. Il cuore, da un punto di vista funzionale, è una cosiddetta pompa peristaltica dal verbo greco “περιστέλλω peri-stello” che significa “comprimere” che è a sua volta formato da “peri” che significa “intorno” e “stello” che significa “collocare, disporre”.
La caratteristica di queste pompe infatti è quella di agire sul fluido che devono comprimere mediante la contrazione delle pareti che lo circondano.
Le due fasi della contrazione del cuore prendono il nome di “sistole = contrazione” derivante da συστέλλω sy-stello formato da syn = insieme e stello = collocare, e “diastole = dilatazione” derivato da διαστέλλω dia-stello formato da dia = divisione e stello = collocare.
Come sappiamo il cuore è una doppia pompa, in quanto una metà, quella sinistra, si occupa di spingere il sangue attraverso la grande circolazione, che irrora tutto il nostro corpo, e l’altra metà, quella destra, si occupa di spingerlo nella piccola circolazione, che riguarda esclusivamente i polmoni, luogo in cui si ha lo scambio fra ossigeno e anidride carbonica.
Ciascuna metà è a sua volta divisa un due parti, quella superiore, detta atrio, che raccoglie il sangue proveniente dalla grande o dalla piccola circolazione e lo spinge verso la parte inferiore, detta ventricolo, che si occupa di spingere il sangue verso la periferia o verso i polmoni.
Quindi il circuito completo può essere schematizzato così:
→Periferia→Atrio destro→Ventricolo destro→Polmoni→Atrio sinistro →Ventricolo sinistro→Periferia→
Il corretto funzionamento del circuito è inoltre garantito dalla presenza di 4 valvole che evitano che il sangue fluisca in ogni direzione, ma segua effettivamente il percorso sopra descritto.
Da un punto di vista fisiologico il cuore è un muscolo cavo, grossomodo delle dimensioni di un pugno.
Nell’immagine qui a fianco potete vederne una schematizzazione, in cui sono indicate le cavità di cui abbiamo detto e le valvole che regolano il flusso. Immediatamente all’inizio dell’aorta, l’arteria che convoglia tutto il sangue destinato alla periferia, si dipartono le cosiddette arterie coronarie, che sono deputate ad irrorare il muscolo cardiaco fornendogli quindi una parte del sangue più pulito e ossigenato possibile. Ad ogni contrazione di questo muscolo il sangue viene messo in moto e costretto a percorrere le innumerevoli ramificazioni del nostro sistema circolatorio. In media un cuore sano fa 100.000 battiti al giorno e pompa 8.000 litri di sangue.
Ma chi dice al cuore come e quando contrarsi? Nessuno!
Come recita il titolo di questo paragrafo il cuore è autosufficiente nel suo funzionamento. Questo è possibile grazie al fatto che il esso è provvisto del cosiddetto sistema di conduzione.
Il sistema di conduzione è evidenziato in giallo nell’immagine a fianco. Si tratta di una sorta di circuito elettrico, costituito da cellule specializzate, in grado di generare degli impulsi elettrochimici che stimolano la contrazione delle cellule muscolari del cuore, senza l’intervento del sistema nervoso centrale o del midollo spinale, come avviene per gli altri muscoli scheletrici.
L’impulso che porta alla contrazione del cuore parte dal nodo senoatriale e provoca la contrazione della zona adiacente, quindi degli atrii. Il nodo senoatriale produce un impulso con una frequenza di circa 1Hz, cioè un battito al secondo, e rappresenza il vero e proprio pacemaker naturale del cuore. Il ritmo che esso impone al muscolo cardiaco viene detto ritmo sinusale.
L’impulso prosegue il suo viaggio fino al nodo atrioventricolare dove viene rallentato e prosegue il suo viaggio lungo il circuito di conduzione per essere distribuito su tutta la periferia dei ventricoli, provocando la consequenziale contrazione di questi ultimi.
Il fatto che il sangue venga sospinto nella giusta direzione e con la giusta forza è strettamente dipendente dall’ordine con cui le varie parti del cuore si contraggono. Per questo motivo la velocità con cui gli impulsi si propagano nel muscolo cardiaco è molto importante. Senza il ritardo introdotto dal nodo atrioventricolare, atri e ventricoli si contrarrebbero nello stesso istante impedendo al sangue di fluire dagli uni verso gli altri. Per coordinare la contrazione delle varie parti del cuore, le vie che trasmettono il segnale si avvalgono di meccanismi differenti. Il tessuto nodale ha un potenziale d’azione che insorge spontaneamente, è lento ed è legato alla concentrazione di ioni calcio (Ca++).
Il tessuto di conduzione e contrattile ha una risposta rapida ed è legata agli ioni sodio (Na+). Il tessuto contrattile presenta anche una fase, detta plateau, in cui il potenziale d’azione si mantiene alto e va ad allungare il periodo refrattario in cui le cellule non sono in grado di ricevere una nuova eccitazione. Questo fa sì che non possa generarsi una contrazione tetanica, con fibre che rimangono contratte quando sono sottoposte a stimoli troppo ravvicinati.
Nel diagramma a fianco possiamo vedere la porzione di un elettrocardiogramma che rappresenta un periodo del ritrmo sinusale.
Possiamo individuare l’onda P, che rappresenta l’impulso che parte dal nodo senoatriale, e l’onda R che rappresenta l’impulso che parte dal nodo atrioventricolare.
La frequenza con cui si succedono gli impulsi è come abbiamo detto, naturalmente impostata a circa un hertz dal nodo senoatriale, ma viene normalmente modulata dall’influenza del nervo simpatico, che ha funzione eccitatrice e dall’influenza antagonista del nervo vago, che tende a rilassare il ritmo cardiaco.
Il suono che sentiamo quando proviamo ad ascoltare il cuore di qualcuno è l’effetto dell’onda R che provoca la contrazione delle fibre ventricolari. L’onda T invece rappresenta il momento in cui le fibre ventricolari si ripolarizzano per prepararsi ad un nuovo ciclo.
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