La scala temperata e la notazione moderna

Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, è impossibile trovare una suddivisione dell’ottava che produca sempre intervalli consonanti prendendo due note qualsiasi e facendole suonare insieme.
Questo perché, anche usando l’intonazione naturale, le note definite a partire da una certa frequenza fondamentale sono consonanti fra loro in quanto rapporti della stessa, ma cambiando frequenza fondamentale questo non è più vero. Per avere rapporti consonanti partendo da un altra nota si dovrebbero cambiare anche tutte le note della scala di partenza.

Un compositore che volesse scrivere una melodia utilizzando la scala naturale e volesse evitare dissonanze, dovrebbe fare attenzione a evitare certi intervalli e certe combinazioni di note e non avrebbe la libertà di riproporre la stessa linea melodica nella propria composizione modulandola a partire da una nota qualsiasi. Anche uno strumentista si troverebbe in difficoltà a riprodurre una melodia pensata in una certa tonalità avendo il proprio strumento accordato in un’altra.

Per secoli queste difficoltà sono state parte della pratica comune della musica. Quello che si può vedere nella foto è un corno barocco con le sue “ritorte” cioè porzioni aggiuntive di tubo che permettono, variando la lunghezza totale dello strumento, di accordarlo su diverse note fondamentali con i relativi armonici. Se per uno strumento come il corno era possibile usare questo stratagemma e per strumenti come gli archi fosse sufficiente modificare la tensione di poche corde, altri strumenti dotati di molte corde, come clavicembali e arpe erano in notevole difficoltà.
In alcuni casi furono prodotti strumenti con un numero aggiuntivo di tasti, come si può vedere nella foto, ma già nel 40 a.C. il cinese King Feng si accorse che per avvicinarsi all’ottava in maniera veramente impercettibile, sono necessari ben 53 salti di quinta.
Quindi uno strumento a tasti che volesse veramente dare al suo suonatore la possibilità di avere sempre a disposizione due note perfettamente consonanti dovrebbe avere ben 53 tasti per ottava!
Per inciso, un tale strumento, l’harmonium, fu effettivamente realizzato da Robert Bosanquet nel 1876.
Anche ai giorni nostri vi sono appassionati di musica microtonale che fanno uso di strumenti speciali in grado di suddividere l’ottava in intervalli più piccoli, come la chitarra in foto o diversi strumenti elettronici con una quantità di tasti simile a quella usata da Bosanquet.

La soluzione pratica usata storicamente è stata però quella del temperamento.
Anziché utilizzare una scala perfettamente aderente ai criteri di Pitagora o Tolomeo, nella pratica, si sceglie di “temperare” leggermente alcuni intervalli in modo da renderli meno dissonanti nei casi in cui il rapporto non fosse l’ideale, rinunciando parzialmente alla perfetta consonanza in altri casi.
Fino alla fine del XIX secolo il dibattito fu aperto fra i teorici della musica, i musicisti e i costruttori di strumenti musicali su quale fosse il temperamento ideale, giacché ne sorsero diversi ciascuno con i suoi vantaggi e svantaggi.
Alla fine però la tecnologia permise di realizzare in maniera sufficientemente precisa quello che oggi è definito 12-TET cioè Temperamento Equabile a 12 Toni.
Si sceglie di suddividere l’ottava in 12 “semitoni” ugualmente spaziati l’uno dall’altro, in modo che l’intervallo fra due suoni successivi sia pari o a due semitoni uguali, come nel caso di due “tasti bianchi” del pianoforte, o un semitono, come fra un “tasto bianco e uno nero”. Indipendentemente da quale sia la nota fondamentale.
Il rapporto fra le frequenze di due suoni adiacenti, è pari alla radice dodicesima di 2 in modo che dopo dodici elevamenti a potenza il rapporto diventi esattamente 2 e quindi l’ottava si chiuda senza commi residui.
Il valore della radice dodicesima di due è un numero irrazionale, ma come si era già reso conto alla fine del XVI secolo Vincenzo Galilei, padre del più noto Galileo, può essere approssimata dal rapporto 18/17 ≈ 1.06.

Così facendo un intervallo qualsiasi, di quinta, quarta, terza maggiore, terza minore o qualsiasi altro, suona sempre nello stesso modo in qualunque parte della tastiera venga suonato.
Una nota alterata in modo crescente di un semitono, suona esattamente come la nota successiva alterata di un semitono in modo decrescente. All’interno dello stesso brano si possono fare modulazioni e cambi di tonalità senza trovarsi dissonanze indesiderate.
Gli strumenti musicali possono essere accordati in maniera univoca, affidabile e riproducibile.
Sembrerebbe la quadratura del cerchio!

Purtroppo, come tutti gli altri, anche il temperamento equabile paga qualcosa in termini di consonanze perfette. Infatti rispetto alla scala naturale, le terze le quarte e le settime sono leggermente crescenti mentre gli altri intervalli leggermente calanti. In pratica solo l’intervallo di ottava è perfetto.
Ma queste differenze sono generalmente sufficientemente piccole da non essere avvertite da un orecchio non particolarmente allenato e i vantaggi descritti sopra le rendono largamente accettabili. Motivo per cui oggigiorno il temperamento equabile è diventato lo standard de facto e gli altri metodi di accordatura sono riservati per rappresentazioni storiche in cui si desidera riprodurre la musica come sarebbe stata eseguita in un epoca in cui il 12-TET non era diffuso come oggi.

Per arrivare a definire la scala musicale moderna rimane un ultimo punto da chiarire.
Le discussioni fatte finora hanno riguardato esclusivamente i rapporti fra le note, ma nulla è stato detto riguardo la loro altezza assoluta.
Manco a dirlo, anche in questo caso ci son voluti secoli perché si pervenisse ad una convenzione accettata universalmente.
La fisiologia dell’orecchio umano pone un vincolo generale per quanto riguarda l’ampiezza totale dello spettro uditivo.
Se convenzionalmente si assume che l’orecchio sia in grado di udire suoni in un intervallo dai 20 ai 20.000Hz, nella pratica musicale le frequenze in uso sono generalmente comprese fra i 60 e gli 8.000Hz.
Gli studi storici effettuati su strumenti antichi per capire dove fossero posizionate effettivamente le note in questo spettro, portano a una distribuzione molto erratica con variazioni in funzione del periodo storico e dell’area geografica.

Oggi ci si riferisce all’ottava “centrale” come quella che parte dal “Do centrale” che è quello indicato con un taglio sotto il rigo del pentagramma di Sol e sopra il rigo del pentagramma di Fa nella partitura per pianoforte e sulla tastiera del pianoforte questo è il terzo Do che si incontra partendo dalle note più basse. Nella notazione anglosassone che fa uso delle note letterali questo è considerato il Do della quarta ottava C4, mentre per quanto sopra, in Italia la stessa nota è indicata come Do3.

Si usa prendere come riferimento per definire l’altezza delle note il La dell’ottava centrale La3 (o se si preferisce A4) e l’intonazione di questo La, intorno al 1600 poteva variare fra i 567Hz e i 377Hz. Il limite a queste variazioni è sempre stato la fisiologia dei cantanti che dovevano essere in grado di eseguire le melodie. Spostando troppo in alto il riferimento per l’intonazione della scala, essa poteva raggiungere il limite della cantabilità o sottoporre le corde vocali a eccessiva fatica. Nel mondo antico era prassi scrivere lo stesso pezzo in più tonalità per poi scegliere quella che su quel particolare strumento risultasse più accettabile o addirittura trasporre la musica sul momento per adattarla.

Durante tutto il XIX secolo si verificò una sorta di “corsa all’acuto” in cui costruttori di strumenti e intere orchestre tendevano ad accordarsi su un La leggermente più acuto per risultare più “brillanti” e quindi più virtuosi all’orecchio del pubblico, in competizione con le orchestre rivali. Una composizione scritta avendo in mente un La a 423Hz ma eseguita con un La a 450Hz metteva a serio rischio la salute vocale dei cantanti che dovevano eseguire quel pezzo.
La prima spinta alla standardizzazione arrivò dalla Francia nel 1859 quando il governo decretò di fissare il La “nazionale” a 435Hz, cercando un compromesso fra i 450 che risultavano eccessivi per la voce umana e i 422 che risultavano troppo poco brillanti per le abitudini del pubblico dell’epoca.
La nuova legge spinse i costruttori a realizzare strumenti accordati su questo standard e la nuova convenzione si diffuse rapidamente in Europa continentale, ma subì una curiosa variazione attraversando la Manica.
A causa di un fraintendimento della legge francese, in Gran Bretagna si diffuse la convinzione che la prescrizione del La a 435Hz non fosse una regola assoluta ma relativa alla nota prodotta da un Oboe tarato per eseguire quel tono alla temperatura di 59°F.
Gli studiosi britannici calcolarono quindi che la nota fondamentale nel loro paese fosse da ricalcolare secondo la temperatura ambientale media di 68°F portando il La a 438.9Hz, approssimato a 439Hz.
Il passo che portò ai 440Hz oggi in uso è dovuto a motivi di carattere tecnologico. Con l’avvento dell’elettronica, negli anni ’30, la nota di riferimento per le accordature e tarature degli strumenti fu prodotta tramite l’oscillazione piezoelettrica di un cristallo di quarzo.
L’oscillazione fondamentale di un milione di hertz veniva divisa elettronicamente fino a 1000Hz, poi moltiplicata per 11 e divisa per 25 per ottenere il valore di 440Hz. Non c’era modo di produrre il valore di 439 essendo questo un numero primo.

Finalmente nel 1953, su iniziativa dell’ISO, a Londra, la frequenza fu fissata ufficialmente 440Hz e ratificata dalla risoluzione europea numero 71 del 30 giugno 1971.
La frequenza della nota di riferimento per l’accordatura degli strumenti musicali, in Italia, è stabilita dalla legge 3 maggio 1989, n. 170, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 109 del 12/05/1989: “Normalizzazione dell’intonazione di base degli strumenti musicali”, che all’art. 1 recita: “Il suono di riferimento per l’intonazione di base degli strumenti musicali è la nota La3, la cui altezza deve corrispondere alla frequenza di 440 hertz (Hz), misurata alla temperatura ambiente di 20 gradi centigradi“.