Apriamo questo articolo con una fotografia di Max Plank, uno dei giganti della fisica moderna che all’inizio del ‘900 contribuì a gettare le basi di quella che oggi chiamiamo meccanica quantistica. L’argomento di questo articolo, tuttavia, non riguarda il mondo dei quanti e delle particelle e il motivo per cui in apertura incontriamo il nome di Plank apparirà chiaro nella sua parte finale. Per iniziare è infatti necessario dare un contesto storico all’argomento centrale di questo articolo, dimensioni e unità di misura.

La necessità di effettuare delle misurazioni sulle grandezze fisiche che ci circondano e condividerne i risultati con altri, si perde nella notte dei tempi, e in linea di principio non è neanche una prerogativa esclusiva della nostra specie.
Si pensi ad esempio alla danza delle api con cui le bottinatrici, dopo aver valutato (“misurato” è effettivamente un po’ eccessivo) la direzione e la distanza di una fonte di cibo, la comunicano alle proprie sorelle variandone alcuni parametri.

Effettuare delle misurazioni risponde a due esigenze che spesso sono contrastanti. Una di tipo sociale, poiché la necessità di misurare pesi, volumi e distanze è strettamente collegata con lo scambio di beni fra individui e comunità, una di tipo scientifico, in quanto attraverso la misurazione dei fenomeni è possibile dedurre le relazioni e le leggi che li governano. La scelta di una particolare unità di misura piuttosto che un’altra, trattandosi di scelte puramente convenzionali, è sempre stata condizionata dal tasso di globalizzazione di una particolare comunità, cioè dal bisogno di utilizzare unità che fossero note al più grande numero possibile di utilizzatori, sia in ambito commerciale che scientifico.

L’utilizzo e la diffusione di specifiche unità di misura ha per secoli seguito le sorti delle civiltà che ne hanno fatto uso, per essere sostituite da nuovi sistemi quando le forze economiche e politiche in gioco subivano un avvicendamento. Anche la prassi comune di utilizzare misure di origine antropometrica, piedi, pollici, cubiti, braccia e quant’altro, pur producendo unità dal nome simile, facevano riferimento a dimensioni diverse, anche se vicine come ordine di grandezza, in funzione dell’area geografica.

Un commerciante che voleva comprare o vendere della merce in distretti lontani fra loro nel mondo antico, doveva fare grande attenzione a specificare a quale unità di misura facesse riferimento. Per fare degli esempi non troppo lontani nel passato, nell’impero Austro-Ungarico erano in uso sia il piede parigino, pari a circa 32.5cm, che il piede viennese, di 31.6cm. Ma se il nostro mercante avesse voluto fare affari con uno stato italiano avrebbe avuto a che fare con misure variabili fra il piede romano, di circa 29.8cm e il piede di Parma che arrivava a 54.5cm, e tutte le gradazioni intermedie incontrabili nei vari stati in cui è stato diviso il nostro paese durante la sua storia pre-unitaria.
Nella pianura padana l’unità di misura più tipica per le superfici degli appezzamenti era la tavola, definita in termini di piedi quadrati, ma essendo la dimensione del piede variabile da regione a regione, come abbiamo visto, la sua dimensione effettiva poteva oscillare fra i 20 e i 30m2. E anche i suoi multipli variavano alquanto, infatti, per citarne alcuni, in molte zone della Lombardia 24 tavole facevano una pertica, mentre ad Alessandria 18 tavole facevano uno staio, a Mantova 100 tavole facevano una biolca ma a Bologna 144 tavole facevano una tornatura.
Nel Regno delle due Sicilie, la situazione non era meno arzigogolata. Per misurare olio o vino era diffuso il barile di Napoli (circa 43.63 litri) che, facendo riferimento alla sua definizione anteriore al 1840, era pari a 60 caraffe di botte o 66 caraffe di vendita al minuto. Con 12 barili si faceva poi una botte (circa 523.46 litri) che era usata per valutare le dimensioni dei trasporti mercantili. Per esempio 2 botti erano uguali a 1 carro. E così via.

Nonostante l’evidente complicazione nell’utilizzare queste unità di misura nei calcoli e nelle conversioni, la loro indubbia utilità è che esse permettono di maneggiare numeri piccoli e comodi quando sono usate per misurare le quantità nel contesto per cui sono state inventate, e per tale motivo il loro uso era molto radicato nelle abitudini delle popolazioni.
Anche oggi, quando pressoché in tutto il mondo è in uso il Sistema Internazionale di cui parleremo più avanti, vi sono tre paesi, gli Stati Uniti, il Myanmar e la Liberia, che continuano ad usare il Sistema Consuetudinario Statunitense (U.S. Customary System) in cui, nel fare le conversioni ad esempio nel caso delle distanze, bisogna ricordarsi che in un piede ci sono 12 pollici, in una iarda ci sono 3 piedi e in un miglio 5280 piedi.

E non dimenticate che se ordinate una pinta di birra negli States, avrete circa 568ml di liquido, ma se lo fate nel Regno Unito, ne avrete solo 473!

Per fortuna, il 20 maggio 1875 diciassette paesi, tra cui l’Italia, firmano Parigi la Convenzione del Metro, il trattato internazionale che rappresenta il primo passo verso quello che sarà poi conosciuto come Sistema Internazionale delle unità di misura.