Vitamina B3 (o PP) – Niacina
L’alimento cruciale nella vicenda della vitamina B3 è il mais e la malattia collegata con la sua carenza prende il nome di Pellagra.
La vitamina B3 è un componente fondamentale nel metabolismo degli zuccheri in quanto viene trasformata in NAD e NADPH all’interno della cellula entrando a far parte delle reazioni coinvolte nella glicolisi. La sua carenza provoca la già citata pellagra, una malattia caratterizzata delle cosiddette 3 “D”: Demenza, Diarrea, Dermatite che conducono eventualmente alla morte (la quarta D in inglese: Death).
Fino al 1492 il vecchio e il nuovo mondo avevano sviluppato ciascuno le proprie abitudini alimentari basate sulla coltivazione dei cereali endemici, principalmente farro in europa e mais in mesoamerica. Quando il mais fu importato in Europa, insieme a molti altri alimenti, non tardò a conoscere una larga diffusione grazie alle maggiore resa e di conseguenza alla maggiore economicità. Così come nel nord Europa il cibo delle classi più povere divenne presto la patata, nel sud Europa questo ruolo venne assunto dal mais. La diffusione della pellagra andò di pari passo con l’adozione del mais come alimento sempre più esclusivo all’interno della dieta e in Italia, le regioni del nord furono quelle più devastate da questa piaga. Lo stesso nome “pellagra” deriva dal dialetto milanese e si riferisce all’aspetto ruvido che l’eritema cutaneo conferisce alle persone che ne sono affette.
Le prime descrizioni della pellagra risalgono al medico spagnolo Don Gaspar Casal nel 1763 col nome “Mal de la rosa” e nel 1771 si hanno le prime testimonianze dall’Italia settentrionale col nome che oggi conosciamo. Si stima che nel 1862 in Lombardia fossero presenti 39000 casi di pellagra su una popolazione di 2.5 milioni di persone. L’epidemia di pellagra, che nel frattempo si era estesa a includere altre regioni europee fino alla Russia e in seguito l’Egitto e parte dell’Africa, ha continuato a mietere vittime fino agli inizi del ventesimo secolo con livelli di incidenza variabili in funzione di quelle che oggi interpretiamo come diverse condizioni economiche delle popolazioni. La occasionale diminuzione della povertà conduceva ad una dieta più varia e quindi attenuava l’effetto delle insufficienze alimentari, ma rendeva più difficile individuare l’origine della malattia che si ritenne di origine microbica fino al 1917.
Ma come mai i popoli dell’America centrale, pur avendo consumato mais come elemento fondamentale della loro dieta per millenni, non erano affetti da questa piaga che invece in Europa ha causato tante morti?
La chiave del mistero è da ricercarsi nel metodo con cui vengono processati i grani di mais prima della effettiva lavorazione per uso alimentare.
Le popolazioni native del nuovo mondo infatti avevano individuato un procedimento detto di Nixtamalizzazione (dalla parola “Nixtamal” con cui in lingua Azteca Nahuatl si identificavano i grani di mais che erano stati trattati in questo modo). Il processo di nixtamalizzazione prevede essenzialmente una bollitura, o comunque una cottura a temperatura prossima all’ebollizione, dei grani in un bagno fortemente alcalino ottenuto diluendo nell’acqua di cottura della calce viva – idrossido di calcio Ca(OH)2 – e successivamente un ammollo prolungato, dalle 3 alle 14 ore, in questo liquido di cottura.
Il nixtamal così prodotto viene poi opportunamente lavato dai residui alcalini ed è pronto per la macinazione che può avvenire anche con mezzi manuali poiché il pericarpo dei grani è ora diventato sufficientemente tenero. Nell’immagine vediamo dei chicchi di nixtamal a sinistra confrontati col mais non trattato.
I conquistatori spagnoli che importarono il mais in Europa pensarono che questo procedimento fosse superfluo dal momento che la tecnologia della macinazione del vecchio mondo poteva avvalersi di mezzi meccanici più sofisticati e quindi lo tralasciarono completamente. Purtroppo però la nixtamalizzazione era un passaggio indispensabile per rendere biodisponibile la Niaciana, che pure è presente nei chicchi di mais, ma legata all’amido in maniera tale che il nostro organismo non può assorbirla!
Un ulteriore effetto di questo procedimento è quello di permettere una idrolizzazione delle proteine rendendo possibile la formazione di una gelatina lavorabile indispensabile per la preparazione delle tipiche tortillas e simili.
All’inizio del ‘900 le autorità italiane avevano ormai collegato l’insorgenza della pellagra con la presenza del mais nell’alimentazione, ma inizialmente si pensò che in questo alimento fosse presente un qualche tipo di tossina responsabile della malattia. Fu il medico epidemiologo americano Joseph Goldberger che nel 1917 attribuì la malattia ad una carenza alimentare anziché alla presenza di un agente patogeno.
Nel 1912 Funk aveva già coniato il termine “vitamina” e quindi la caccia alla nuova vitamina Pellagra Preventing era aperta e la scoperta arrivò nel 1937 grazie al biochimico americano Conrad Arnold Elvehjem.
Questa volta i soggetti di studio furono i cani che, in carenza di vitamina B3, sviluppano una malattia detta “lingua nera”. Elvehjem scoprì che i cani affetti da “lingua nera” rispondevano positivamente a iniezioni di acido nicotinico o di niconinammide e finalmente si diede all’acido nicotinico il nome di Niacina per evitare l’associazione di idee con la nicotina che è una sostanza con ben altri effetti sull’organismo.
Oggi sappiamo che una dose giornaliera di Niacina per un uomo adulto ammonta a circa 16mg e questa quantità può essere raggiunta per esempio consumando: 85g di arachidi tostate oppure 85g di fegato di vitello o 110g di petto di pollo o 140g di salmone, per citare gli alimenti che ne sono più ricchi.
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