Il dilemma del carrello e oltre
Nel 1967 la filosofa inglese Philippa Ruth Foot, che vediamo raffigurata qui a fianco, propose un celebre esperimento mentale di filosofia etica noto come “The trolley problem“, il dilemma del carrello ferroviario.
Questo dilemma, pensato originariamente per mettere in contrasto il punto di vista utilitaristico contro quello kantiano, può essere esposto come segue.
Sui binari di una strada ferrata vi sono 5 persone legate e impossibilitate a muoversi.
Sugli stessi binari, lanciato a gran velocità vi è un vagone che si dirige verso i 5 malcapitati.
Ti trovi ad una distanza dalle persone in pericolo tale da non poterle raggiungerle in nessun modo in tempo per liberarle prima che sopraggiunga il carrello.
Fortunatamente vicino a te vi è la leva di uno scambio che può deviare il carrello dal suo corso e dirottarlo verso un binario laterale.
Questo salverebbe sicuramente le cinque persone, ma si dà il caso che anche sul binario laterale vi sia una persona la quale non avrebbe modo di fuggire in tempo e sarebbe sicuramente uccisa dall’arrivo del carrello nella sua direzione.
In questa formulazione la persona in prossimità dello scambio ha due opzioni: azionare la leva e causare anche se indirettamente la morte di una persona, o non fare nulla e assistere alla morte della altre cinque. La visione utilitaristica impone di azionare la leva in quanto il risultato è quello che porta al bilancio più favorevole e molta gente non esita a rispondere in questo modo al quesito su quale sia la migliore azione da intraprendere.
Il dilemma diventa più interessante quando si aggiunge la considerazione fatta da un’altra filosofa, Judith Jarvis Thomson, famosa anche per aver pubblicato, nel 1971 un importante saggio sulla difesa dell’aborto.
Vi trovate su un ponte che sovrasta una linea ferroviaria.
Lungo il tracciato dei binari vedete che vi sono cinque persone legate impossibilitate a muoversi mentre si dirige verso di loro un carrello ferroviario lanciato a gran velocità.
Non avete nessun modo per deviare il corso del carrello o liberare le persone ma si dà il caso che di fianco a voi vi sia una persona molto grassa. Tanto grassa che la sua massa, se lanciata contro il carrello, sarebbe in grado di fermarlo impedendogli di raggiungere le cinque persone.
Ovviamente la persona non sopravviverebbe all’impatto, ma l’azione di spingerla giù dal ponte salverebbe gli altri.
Ancora una volta il quesito consiste nello scegliere fra causare la morte di una persona attraverso una propria azione o la morte di cinque attraverso una inazione.
In questo caso molte persone che rispondono in favore dell’azione nel primo caso preferiscono l’inazione nel secondo.
Evidentemente è più difficile valutare il bilancio delle vittime con lo stesso distacco quando la conseguenza della morte della persona grassa è così diretta.
In pratica è considerata accettabile una morte finché sia possibile considerarla un effetto collaterale, ma non lo è più quando essa sia una diretta conseguenza delle nostre azioni.
Come nel coinvolgimento negli esiti delle stragi del paragrafo precedente, il nostro senso della morale si rivela piuttosto elastico…
Un ulteriore sviluppo del dilemma del carrello consiste nell’inserire la variante che la persona grassa che dovremmo buttare giù dal ponte sia in realtà proprio il delinquente che ha legato i cinque malcapitati sulle rotaie. In questo caso molti sono portati verso l’azione perché assume una valenza giustizialistica.
Oppure nel primo caso aggiungere la variante che la singola persona sul binario laterale sia in realtà una persona che ci è vicina, come un figlio o un genitore. In questo caso si ha lo spostamento opposto in quanto il peso emotivo di perdere una persona amata facilmente supera quello di perdere dei perfetti sconosciuti.
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