In questo articolo parliamo ancora di chimica e la sostanza che sarà oggetto della nostra storia si chiama glucosio. Ma anzichè esplorare le proprietà e gli usi del glucosio, ci concentriamo su quella che è una bellissima pagina di metodo scientifico applicato, datata intorno alla fine dell’ottocento e con protagonista il premio Nobel per la chimica del 1902, il chimico tedesco Emil Fischer, di cui vediamo una fotografia riprodotta qui a fianco.
Il lavoro di Fischer che è poi sfociato in quella che oggi chiamiamo la prova di Fischer si è sviluppato tra il 1884 e il 1894. Gli sforzi di Fischer erano orientati a determinare la formula di struttura del glucosio e ciò che rende interessante la sua argomentazione è il fatto che egli sia riuscito nel suo intento attraverso mezzi tecnologici che gli permettevano solo delle deduzioni indirette.
Oggi possiamo confermare i suoi risultati attraverso la diffrazione a raggi X ma allora i mezzi a disposizione di Fischer erano:
- metodi classici come combustione e pesatura per determinare le quantità degli elementi presenti in un composto
- reazioni con sostanze particolari per determinare se l’oggetto di studio sia ossidante o riducente (saggio di Tollens)
- alcune reazioni che permettono di allungare o accorciare di un atomo di carbonio la catena di uno zucchero (in particolare quella che permette l’allungamento porta il nome dello stesso Fischer: Kiliani-Fischer)
- soprattutto Fischer face un uso intelligente del polarimetro, lo strumento che permette di misurare la rotazione del piano di oscillazione della luce polarizzata, fenomeno direttamente collegato alle proprietà di asimmetria spaziale delle molecole in esame.
Quello che vediamo raffigurato sulla destra è un polarimetro Laurent del 1887 di proprietà dell’università di Sassari, probabilmente molto simile a quello utilizzato dallo stesso Fischer nei suoi studi.
Questo dispositivo si utilizzava in accoppiata con una lampada che emetteva una luce monocromatica, tipicamente un sale sodico fatto bruciare con una fiammella o, più tardi, una lampada elettrica ai sali di sodio.
La luce così prodotta entrava nel polarimetro e veniva polarizzata da un prisma di Nicol. Poi il fascio veniva sdoppiato e una parte raggiungeva direttamente l’oculare mentre l’altra parte veniva fatta passare attraverso la soluzione da esaminare.
In prossimità dell’oculare vi era un altro prisma di Nicol che permetteva di confrontare la polarizzazione del raggio di controllo con quello transitato nella soluzione. Dal confronto delle intensità e sfruttando il goniometro incorporato nell’oculare si poteva determinare la rotazione che la soluzione impartiva alla polarizzazione della luce.
Vediamo nel prossimo paragrafo come sono stati usati questi strumenti per arrivare a determinare la formula di struttura del D-glucosio.
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