La storia della fillossera
Gli appassionati di enologia conoscono senz’altro la storia di questo micidiale parassita che alla fine dell’ottocento devastò le coltivazioni di vite in Europa: la Daktulosphaira vitifoliae meglio conosciuta come Fillossera (o più comunemente Filòssera) della vite.
La prima scoperta di questo insetto risale al 1854 ad opera di C. H. Fitch che lo identificò sulle foglie delle viti selvatiche dell’America del Nord (New York). Indubbiamente a causa dell’importazione di barbatelle infette, pochi anni dopo, nel 1863, fu trovata da J. O. Westwood sulle foglie e sulle radici delle viti nelle serre di Hammersmith (Londra).
La scarsa diffusione della coltura della vite in Inghilterra non favorì particolarmente la propagazione della fillossera, ma quando, nel 1868, il parassita fu individuato sulle radici delle viti del sud della Francia, le condizioni per una sua proliferazione inarrestabile c’erano tutte!
In Italia, come riporta l’Enciclopedia Treccani:
…erano stati avvertiti fin dal 1875 nelle vicinanze di Lecco dei deperimenti nella vegetazione delle viti, ma solo nel 1879 venne accertata la presenza dell’insetto nei dintorni di Valmadrera (Como) e di Agrate (Milano); l’anno successivo furono rinvenuti focolai d’infezione nelle provincie di Caltanissetta, di Messina e di Porto Maurizio (Imperia). Nel 1886 si scoprirono infezioni in Piemonte e nel 1888 in Toscana; nel 1899 furono riconosciute infette le Puglie; alla fine del secolo l’infezione era stata accertata in oltre 900 comuni e vi interessava più di 350.000 ha. di superficie. Nel 1931 essa risulta accertata in 89 delle 92 provincie italiane, con esclusione soltanto di Frosinone, Rieti e Napoli; circa la quarta parte degli oltre 4.000.000 di ha., sui quali in Italia è coltivata la vite, è stata distrutta o gravemente danneggiata dall’infezione, e le regioni più colpite sono quelle di maggiore importanza viticola.
La fillossera appartiene alla famiglia degli afidi e come tale presenta un ciclo vitale particolarmente complesso, grazie al quale riesce a sfruttare al meglio le caratteristiche climatiche stagionali e il tipo di piante a sua disposizione per riprodursi.
Il danno determinato dalle punture di questo afide si riscontra sulle radici, dove provoca la formazione di galle nodose, anche di notevoli dimensioni, con conseguente perdita di capacità assorbente e sulle foglie, dove compaiono galle tondeggianti e rugose che erompono verso la pagina inferiore, originando una superficie nodosa ed irregolare. Le galle sono essenzialmente delle vesciche in cui il parassita può inserirsi per completare il proprio sviluppo, nutrendosi dei fluidi della pianta e deponendovi le uova per riprodursi.
Nelle foto si può vedere come appaiono le galle presenti sulle foglie e sulle radici di una pianta attaccata dal parassita.
Il ciclo vitale della fillossera prevede forme sessuate (o anfigone) e asessuate, alcune delle quali sono specializzate per vivere e riprodursi nelle radici (radicicole) e altre nelle foglie (gallecole).
Generalmente l’efficienza di questo sistema risiede nel fatto che le forme sessuate, alate, emergono dal terreno per accoppiarsi e deporre il cosiddetto uovo d’inverno, che viene deposto sul finire dell’estate negli interstizi della corteccia e che si schiuderà in primavera. In questo modo avviene la propagazione territoriale della specie. Le forme asessuate invece si riproducono per via partenogenetica sulle foglie e nelle radici determinando l’infestazione della pianta.
Il ciclo completo si verifica soprattutto sulla vite americana con cui l’animale riesce a coesistere senza avere effetti devastanti.
Dopo avere svernato allo stadio di uovo (A nell’immagine), in primavera (aprile-maggio) nascono femmine partenogenetiche (le cosiddette fondatrici B) che pungono le foglie, provocando la formazione delle suddette galle; all’interno di queste galle si svilupperanno nuove femmine partenogenetiche che continueranno il loro ciclo sulle foglie, producendo nuove galle. Da queste galle escono sempre femmine partenogenetiche, ma, dalla seconda generazione in poi, alcune di queste, con il rostro più corto, saranno destinate a continuare le generazioni fogliari e altre, con il rostro più lungo (denominate fondatrigenie D), lasceranno le foglie per migrare sull’apparato radicale, dove inizieranno le generazioni di radicicole. Va detto che l’attacco all’apparato fogliare è cadenzato dalla frequenza con cui si succedono le generazioni di gallicole, quindi la pianta ha il tempo di generare foglie sane per il proprio sostentamento fra una generazione e l’altra.
Nelle radici le punture provocano, come detto, la formazione di altre galle in cui gli afidi deporranno le uova da cui nasceranno altre radicicole ma, in questo caso specialmente verso la fine dell’estate, anche delle femmine alate sessupare (F) che emergeranno dal terreno per deporre poche uova da cui nasceranno degli individui anfigonici (I ed L) in grado di accoppiarsi per deporre l’uovo d’inverno.
Questo ciclo così complesso in realtà è in grado di modificarsi per adattarsi al tipo di vite a disposizione.
Sulla vite europea infatti le foglie non formano galle sufficienti per permettere alle fondatrigenie gallecole di completare il loro sviluppo, quindi la fillossera si stabilisce quasi esclusivamente a livello radicale.
Il problema è che, se si tratta di vite americana, il danno radicale è limitato perché le radici di questa vite sono poco sensibili e reattive alle punture (mentre sono molto reattive le foglie che producono una grande quantità di galle) ma se si tratta di vite europea, il danno è più rilevante in quanto le radici di queste ultime sono particolarmente sensibili e producono galle vistose che degenerano compromettendo la funzione assorbente fino alla morte della pianta. Le foglie, invece, non reagiscono alle punture, per cui la formazione delle galle è poco significativa o completamente assente.
Quando le coltivazioni europee furono pressoché annientate dall’avvento della fillossera, i coltivatori tentarono con ogni mezzo di fronteggiare l’attacco del parassita, dai trattamenti volti a uccidere l’uovo d’inverno spennellando i ceppi con miscugli a base di calce viva e naftalene, ai costosi trattamenti per uccidere le radicicole mediante solfuro di carbonio. Un trattamento che ha avuto una certa diffusione consisteva nel sommergere i vigneti per circa due mesi in autunno, di fatto asfissiando le radicicole, ma diminuendo la vitalità delle piante.
La soluzione definitiva si è rivelata quella che sfruttava la biologia delle piante stesse: l’innesto.
Gli agricoltori si resero conto che innestando le viti europee su ceppi di viti americane si producevano delle piante i cui frutti conservavano le caratteristiche originali e avevano la naturale resistenza delle viti europee per quanto riguardava gli attacchi all’apparato fogliare. Contemporaneamente i ceppi innestati potevano giovarsi nella naturale resistenza delle viti americane per l’apparato radicale, disinnescando di fatto la pericolosità del parassita. Oggigiorno l’innesto è una pratica largamente diffusa tranne che per i vigneti impiantati nei terreni sabbiosi e in alta montagna, dove il clima e il terreno penalizzano naturalmente lo sviluppo della fillossera.
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