Insetti come armi

Se la lotta contro la fillossera si è conclusa grazie alla possibilità di combinare le caratteristiche di resistenza dei due tipi di vite, quindi attuando di fatto una strategia di difesa passiva, l’agricoltura moderna si sta specializzando per far uso di metodi più attivi e aggressivi.
Di seguito alcuni esempi in cui i protagonisti sono proprio gli insetti che, grazie alle fortune dell’evoluzione, si trovano a combattere dalla parte dei “buoni”.

Aphidius colemani

Fra i parassiti di colture importanti come cetriolo, zucchino, melone, cocomero e melanzana vi sono ancora una volta due specie di afidi, l’Aphis gossypii e il Myzus persicae che recentemente hanno iniziato a presentare popolazioni resistenti ai più comuni aficidi. Per questo motivo si sta diffondendo una strategia di lotta che sfrutta un insetto parassitoide l’Aphidius Colemani che è un imenottero, quindi della stessa famiglia di api e vespe, di dimensioni intorno ai 2mm e in grado di agire efficacemente contro questi due tipi di afidi.
La femmina depone il proprio uovo all’interno del corpo dell’afide. L’afide parassitizzato continua ad alimentarsi normalmente per 3 gg (il tempo della schiusura dell’uovo al suo interno), quindi la larvetta di Aphidius Colemani inizia ad alimentarsi degli organi interni non vitali.

Dopo 7 gg dalla parassitizzazione il parassitoide fissa l’ospite sulla foglia e forma una pupa che fa rigonfiare l’afide attaccato che assume un colore brunodorato con aspetto cartaceo (mummia). Quattro giorni più tardi l’adulto fuoriesce attraverso un foro rotondo. Il parassitoide identifica la pianta attaccata da afidi tramite i segnali chimici emessi dalla pianta stessa. A distanze minori è la melata, di cui gli adulti si nutrono, che lo conduce verso la sua vittima. Con la presenza dei parassitoidi all’interno di una colonia di afidi, questi cominciano ad emettere dei feromoni di allarme. Allertati, gli afidi si agitano e spesso si lasciano cadere al suolo dove di solito muoiono.
Nonostante l’efficacia di questo metodo, il limite alla sua diffusione è paradossalmente proprio l’agricoltura tradizionale, in quanto gli insetticidi utilizzati contro gli afidi risultano letali anche per le vespe “amiche”.

Heterorhabditis bacteriophora

Un altro esempio interessante è quello riguardante il nematode denominato Heterorhabditis bacteriophora che vediamo in fotografia. La particolarità di questo nematode entomopatogeno è dovuta al fatto che la sua pericolosità nei confronti dei parassiti si manifesta per procura! Infatti, a differenza di altri nematodi che possono anche essere dannosi alle colture, il Heterorhabditis bacteriophora si muove attivamente nel terreno in cerca di larve o crisalidi in cui penetra attraverso gli orifizi naturali. Una volta nel corpo dell’insetto ospite entra in gioco la simbiosi con un batterio (del genere Photorhabdus luminescens) che viene trasportato all’interno dell’ospite e che produce tossine velenose che uccidono velocemente la larva e enzimi che la digeriscono dall’interno producendo sostanze nutritive per sé e per il nematode. Il nematode trova quindi un substrato favorevole alla sua riproduzione e al suo sviluppo durante il quale diventa nuovamente vettore per i batteri che lo sfruttano per cercare altre larve. Al termine dell’infezione migliaia di nuove larve infettive del nematode abbandonano il cadavere in cerca di nuovi ospiti.
Il nome del batterio inoltre, Photorhabdus luminescens, è rappresentativo di un’altra sua caratteristica peculiare, la bioluminescenza. Il bagliore bluastro emesso dai batteri fu chiamato Angel’s Glow (bagliore d’angelo) da parte dei soldati reduci dalla battaglia di Shiloh, durante la guerra civile americana, i quali vedevano brillare nella notte le proprie ferite infette. In realtà l’infezione da Photorabdus, contratta da i soldati che si erano trovati in stato di ipotermia nei due giorni e due notti in cui erano stati abbandonati a sé stessi prima che potessero essere soccorsi, si rivelò provvidenziale in quanto i batteri le cui tossine non sono pericolose per l’uomo, agirono da antagonisti nei confronti di batteri ben più pericolosi e, non essendo in grado di sopravvivere alla normale temperatura corporea di un essere umano, morirono quando i soldati furono messi in salvo dalle zone acquitrinose e riscaldati propriamente.
Oggi l’uso di questo nematode si sta diffondendo specialmente nei casi in cui l’infestazione che si vuole debellare sia ancora allo stadio larvale.