Il “cervello elettronico”
Fra il 1939 e il 1940 il celebre scrittore di fantascienza Isaac Asimov diede alle stampe i suoi primi racconti incentrati sui robot, macchine dalle sembianze spesso umanoidi in grado di pensare e agire in maniera confrontabile con un essere umano.
Asimov non si concentrò sugli aspetti software di un ipotetico programma in grado di simulare il pensiero di livello umano, ma ipotizzò che esistesse un cosiddetto cervello positronico, costituito da una lega “spugnosa” di platino-iridio, in grado di simulare a livello hardware il funzionamento di un cervello. In altre parole ipotizzò che, così come la natura sia stata in grado di produrre un cervello con mezzi “naturali”, analogamente fosse possibile crearne una sua controparte “artificiale”. Questo stratagemma letterario gli permise di concentrarsi sugli aspetti più sociali dovuti all’esistenza di un’intelligenza artificiale piuttosto che addentrarsi sul se e come questo tipo di intelligenza potesse essere realizzata.
Oggi, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, i risultati raggiunti dalle reti neurali dimostrano che molte delle funzioni del cervello naturale possono essere efficacemente simulate, e siamo persino al punto di domandarci se sia o meno possibile che questa simulazione arrivi a riprodurre l’autocoscienza, come nel caso di LaMDA.
Tutto ciò è stato possibile tramite degli algoritmi “tradizionali”, fatti di passi discreti e sincroni, che riproducono il funzionamento di un organo, il cervello, che non è né l’uno né l’altro. Col crescere della complessità richiesta dalle moderne reti neurali tuttavia si fa sempre più vicino il limite tecnologico rappresentato dall’hardware necessario a far funzionare questi programmi sempre più complessi.
Il numero di neuroni e interconnessioni fra gli stessi in un cervello naturale è astronomico, tuttavia esso richiede per funzionare una quantità di energia compresa fra i 10 e i 23 watt. Una potenza ridicola se la si confronta con le migliaia di watt necessari per giorni per addestrare una rete neurale artificiale che utilizza hardware tradizionale.
E’ evidente che il prossimo passo evolutivo verso l’intelligenza artificiale sarà possibile solo a patto di trovare un modo energeticamente più efficiente per far funzionare i programmi che realizzano le reti.
Per superare queste limitazioni sono stati individuati sia approcci software che hardware su cui la ricerca è molto attiva.
Un modo per migliorare l’efficienza di una rete neurale tradizionale va sotto il nome di pruning (potatura).
L’idea alla base di questa procedura deriva dalla constatazione che, durante lo sviluppo del sistema nervoso, vi sono delle fasi in cui il grado di interconnessioni fra i neuroni cresce enormemente per poi calare a seguito di una selezione delle interconnessioni realmente necessarie. Nel caso artificiale si procede quindi a “spegnere” i neuroni meno significativi nell’attività nella rete finché non si raggiunge un limite di accettabilità nell’errore di output.
Si è osservato infatti che, disattivando un certo numero di neuroni artificiali si riesce a ridurre notevolmente la complessità computazionale della rete con un degrado della qualità in uscita relativamente contenuto.
Ma probabilmente il più importante campo di studio è quello che riguarda le cosiddette Spiking Neural Network, o SNN.
Con tali reti si cerca ancora una volta di avvicinarsi il più possibile al modello naturale. I neuroni nel cervello, infatti, non emettono impulsi nervosi in maniera sincrona in ogni “ciclo di calcolo” ma hanno ciascuno una propria attività individuale e producono un impulso solo quando il potenziale in ingresso raggiunge un valore di soglia. Questo li rende energeticamente più efficienti perché in un certo senso spendono energia solo “quando serve”.
Le reti neurali spiking cercano di emulare questo comportamento. Esse sono costituite da neuroni che sono alimentati da treni di impulsi e producono a loro volta un impulso solo se l’intensità e la frequenza in ingresso permettono il raggiungimento del valore di soglia.
Questo significa che da un lato si introduce la dimensione temporale nel funzionamento della rete rendendola più adatta ad affrontare problemi dinamici, e dall’altra la si rende energeticamente più efficiente perché non è necessario calcolare sempre, ad ogni ciclo, il valore di uscita per tutti i neuroni, ma solo di quelli che hanno raggiunto lo stato “eccitato”.
Dal punto di vista dell’hardware invece sono in fase di sviluppo dei particolari microchip pensati per implementare nativamente dei modelli di rete neurale, i cosiddetti chip neuromorfici.
Questo tipo di microchip sfrutta la capacità di un tipo di componente elettronico denominato memristore, che finora non aveva trovato applicazione pratica nell’elettronica tradizionale e che in questo caso si è rivelato adatto per realizzare la parte di circuitazione deputata a simulare il peso della sinapsi nel collegamento fra neuroni artificiali. Il memristore infatti agisce nel circuito come una resistenza, ma il suo valore può essere influenzato dai parametri di funzionamento che possono quindi essere gestiti secondo un qualche algoritmo di apprendimento.
A settembre del 2021, a tre anni dalla prima, Intel ha presentato la seconda generazione di chip neuromorfici denominati Loihi2. Questi chip sono pensati per implementare in particolare dei modelli di spiking neural network e sono accompagnati da un ambiente di sviluppo open source, denominato Lava, per aiutare i ricercatori a sviluppare applicazioni per questi dispositivi.
All’interno di un chip neuromorfico troviamo entità denominate assoni e sinapsi proprio perché mimano il funzionamento delle loro controparti biologiche e dialogano fra loro tramite treni di impulsi. Inoltre questi chip sono pensati per essere collegati in parallelo per comporre architetture più complesse con l’ideale obiettivo di avvicinarsi ad un livello di connettività confrontabile con un cervello biologico e lo fanno usando una frazione dell’energia necessaria ad un chip tradizionale.
Vista la velocità con cui la ricerca in questo campo sta procedendo, il “cervello positronico” diventa sempre meno fantascientifico ogni giorno che passa e quando LaMDA sarà contenuta un uno scatolotto delle dimensioni di qualche centimetro e potrà dialogare con un motore di sintesi vocale, la risposta all’interrogativo sulla sua autocoscienza sarà ancora più difficile da trovare.
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