Il Paleozoico, Pangéa e la grande estinzione di massa
A partire da 541 milioni di anni fa si inizia a parlare di Paleozoico (da παλαιός palaios, “antico” e ζωή zoé, “vita”). In altre parole, si considera terminato il super-eone Precambriano, che comprende gli eoni Adeano, Archeano e Proterozoico, di cui abbiamo parlato, e inizia l’eone cosiddetto Fanerozoico.
La vita sulla Terra non è più limitata a forme batteriche più o meno complesse, ma inizia a comprendere organismi che possiamo chiamare “animali” a tutti gli effetti. Infatti l’inizio del Paleozoico si fa coincidere con periodo cui appartengono i primi fossili di animali dotati di parti dure, in particolare i cosiddetti Trilobiti.
Dall’inizio del Paleozoico per circa 50 milioni di anni, periodo relativamente “breve” su scala geologica, si ha la cosiddetta Esplosione Cambriana, in cui i resti fossili testimoniano una grande differenziazione nelle forme di vita e la nascita dei principali “phyla” che si sono evoluti fino ai nostri giorni.
Durante l’era paleozoica, che ha una durata complessiva di quasi 300 milioni di anni, la vita conosce la sua prima “fioritura”, producendo una grande biodiversità e ricomprendo le terre emerse di foreste lussureggianti. Uno dei periodi principali del Paleozoico è detto appunto Carbonifero (da 359 a 299 milioni di anni fa) perché risalgono a questo periodo le foreste che daranno vita ai principali giacimenti di carbone fossile oggi conosciuti.
L’aspetto del pianeta durante il Paleozoico era comunque ancora molto diverso da quello che conosciamo oggi. Durante questo periodo infatti, come illustrato dalla teoria della Tettonica a Placche, le terre emerse erano unite a formare il cosiddetto supercontinente di Pangea (da πᾶν pan, “tutto”, e Γαῖα gaia, “terra”) circondato da un unico grande oceano detto Pantàlassa (da Παν pan, “tutto”, e θάλασσα thálassa, “mare”). La teoria ci spiega che la conformazione delle terre emerse ha subito diverse variazioni nelle prime fasi della vita del pianeta. Le prime formazioni di una crosta solida si ebbero nelle zone relativamente più fredde dei poli e migrarono galleggiando sul mantello fluido per riunirsi e separarsi nuovamente durante tutto il Precambriano e, durante il Paleozoico, i due supercontintenti della Laurasia (proveniente da nord) e del Gondwana (proveniente da sud) si unirono per formare un unico blocco continuo di terra che, nel 1915, il padre della Tettonica a Placche, Alfred Wegener, definì appunto Pangea.
La storia della vita sulla Terra ha conosciuto cinque bruschi arresti e ripartite che hanno riguardato gli organismi superiori e che sono definite Estinzioni di Massa e che sono usate come eventi chiave cui far corrispondere il passaggio da un’età all’altra. Durante tutto il Paleozoico, si verificarono da due importanti estinzioni di massa, una alla fine dell’Ordoviciano e una alla fine del Devoniano, ma alla fine del periodo Permiano, circa 252 milioni di anni fa, una serie sfortunata di eventi contribuirono a determinare quella che è stata definita la Grande Estinzione di massa del Permiano-Triassico.
Non dobbiamo pensare all’estinzione di massa come un evento breve e catastrofico, ma piuttosto ad un processo che si è esteso per diversi milioni di anni a cui hanno contribuito, nei vari ambienti, cause diverse.
Nei mari vi fu una progressiva anossia, cioè una diminuzione della quantità di ossigeno disciolto e un aumento dell’anidride carbonica, che oltre un certo limite rende difficoltosa la formazione di gusci e coralli.
Sulla terraferma vi fu un progressivo riscaldamento globale con conseguente inaridimento. Eventi più localizzati furono un aumento dell’attività vulcanica e, in alcuni casi, sono stati proposti eventi catastrofici di natura meteorica.
La concomitanza di queste cause portò alla distruzione della catena alimentare e a cascata il pianeta vide progressivamente la scomparsa dell’81% delle specie marine e del 70% delle specie di vertebrati terrestri.
Ci vorranno 30 milioni di anni per recuperare la biodiversità persa durante questo periodo della storia del nostro pianeta.
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