In questo articolo scopriamo la storia spesso contorta e sorprendente che ha portato alla scoperta di una classe di sostanze cui è stato dato, non a torto, un nome che sembra uno slogan: “Amine della Vita” o, più discorsivamente, vitamine.
Come abbiamo già visto nell’articolo sui Veleni Quotidiani le vitamine sono sostanze di fondamentale importanza per il metabolismo degli esseri viventi e sono accomunate dal fatto che il loro fabbisogno giornaliero è così basso che gli organismi hanno potuto perdere la capacità di sintetizzarle al loro interno senza riceverne uno svantaggio evolutivo particolarmente penalizzante. Ciononostante la loro necessità per il corretto funzionamento di numerose reazioni chimiche è indiscussa e la loro mancanza porta inevitabilmente a malattie debilitanti e mortali.

Gli esseri umani non sono i soli che hanno bisogno delle loro “vitamine”. In funzione dell’habitat in cui si sono evoluti, più o meno tutti gli animali hanno sviluppato la dipendenza da alcune sostanze, quelle più facilmente reperibili nella loro dieta abituale, e mantenuto la capacità di sintetizzarne di altre. Gli esseri umani tuttavia, a differenza degli altri animali, hanno anche sviluppato la capacità di spostarsi attraverso i continenti con estrema facilità e di conseguenza sottoporsi a drastiche variazioni nella loro dieta tali da esporsi più facilmente alla privazione di qualcuna di queste sostanze indispensabili.
Vediamo di seguito la storia della scoperta di alcune delle più importanti.

Vitamina C – Acido Ascorbico

La storia della vitamina C si intreccia inevitabilmente con le vicende legate alle grandi spedizioni coloniali del XIX secolo e della malattia che affliggeva i marinai partecipanti alle lunghe spedizioni che li portavano nei più lontani recessi del nostro pianeta: lo Scorbuto.

Non che lo scorbuto fosse sconosciuto prima dell’epoca moderna. Vi sono descrizioni di questa malattia risalenti al 1500 a.C. e viene menzionata anche da Ippocrate, ma solo a partire dal 1700 si possono individuare i primi tentativi di affrontarla in maniera per lo meno pseudo-scientifica. Fino ad allora l’unica “contromisura” dei grandi imperi coloniali alle morti dei marinai impiegati sui loro vascelli, fu quella di far salpare le navi con un sovrannumero di persone per compensare le perdite che ci si aspettava sarebbero intercorse durante la traversata a causa dello scorbuto. D’altronde la manodopera per pilotare i vascelli era più economica e disponibile delle navi stesse.

Dal momento che la vitamina C rientra nel metabolismo del collagene, che è la molecola di cui è costituto prevalentemente il tessuto connettivo che tiene insieme il nostro organismo, una sua carenza si manifesta in un generale infragilimento di tutti i tessuti. Numerosi diari di bordo di quel periodo, riportano descrizioni particolarmente vivide dei suoi sintomi. Eccone un esempio che ne dà un medico di bordo del sedicesimo secolo.

Le mie cosce e le gambe inferiori erano nere e cancrenose e sono stato costretto a usare il mio coltello ogni giorno per incidere la carne per liberare questo sangue nero e putrido. Usavo il coltello anche sulle gengive, che erano livide e si rigonfiavano sui denti … Dopo aver tagliato la carne morta e fatto fuoriuscire del sangue nero, risciacquavo la bocca e i denti con la mia urina, strofinandoli energeticamente.

La causa della malattia però si rivelò particolarmente elusiva perché, come abbiamo detto, i sintomi si manifestano a seguito della mancanza di una sostanza che è presente in minima quantità in alcuni cibi. Per tale motivo l’individuazione della cura ha dovuto aspettare letteralmente centinaia di anni, e l’avvento della moderna medicina, per arrivare. Anche la parola “scorbuto” ha un’etimologia decisamente inappropriata in quanto deriva dall’antico scandinavo skyr «latte cagliato» e bjugr «edema», quindi «edema provocato da abuso di latte cagliato».

Il primo studio condotto con metodo scientifico si deve al medico scozzese James Lind che, nel maggio del 1747, su un campione di 12 marinai malati di scorbuto, provò la somministrazione di diversi cibi e preparati, mettendo in evidenza come sensibili miglioramenti sulle condizioni dei pazienti erano associati alla assunzione di limoni e arance freschi.

Purtroppo però, il paesaggio scientifico dell’epoca non era ancora pronto a comprendere il reale significato dell’esito degli esperimenti di Lind. Come abbiamo visto nella vicenda della morte di George Washington, la medicina dell’epoca era ancora ferma alla teoria dell’equilibrio degli umori, la chimica molecolare era ancora lontana e lo stesso Lind, in mancanza di spiegazioni migliori, ipotizzò che l’effetto benefico del succo di limone, fosse dovuto al fatto che aiutasse a ripristinare l’acidità dell’organismo che veniva compromessa dalla vita nell’ambiente salato e alcalino della nave. Sotto questo punto di vista, il succo di limone veniva considerato al pari di un’altra pozione acidificante utilizzata all’epoca, l’elisir di vetriolo, una “bibita” a base di acido solforico diluito in vari tipi di distillati aromatizzati con spezie.

Fiducioso tuttavia nei risultati da lui ottenuti, Lind introdusse il succo di limone nella dieta dei marinai della marina militare britannica con risultati positivi, ma questa misura preventiva nei confronti dello scorbuto non attecchì del tutto a causa di diversi fattori che contribuirono a nascondere il nesso causale fra il suo uso e l’effetto sullo scorbuto.
Nell’ambito della flotta mercantile per esempio, si diffuse l’uso del lime, coltivato nelle colonie asiatiche, perché più economico nei confronti del limone, proveniente dalla Sicilia. Il lime era più acido ma conteneva meno vitamina C che per giunta veniva degradata dall’esposizione alla luce, all’aria e al rame usato per contenerlo.
Vi erano anche testimonianze che contraddicevano l’idea che la frutta fresca fosse indispensabile per la prevenzione della malattia. Vilhjalmur Stefansson, un esploratore artico che visse fra gli inuit per diverso tempo, provò che una dieta costituita esclusivamente da carne cruda non portava a nessuna malattia. Infatti oggi sappiamo che il fegato di caribù, il cervello di foca, la pelle di balena o le alghe laminarie crude sono eccellenti fonti di vitamina C.
Infine l’introduzione della navigazione a vapore ridusse notevolmente la durata di molti trasferimenti, rendendo meno evidente la differenza di efficacia fra il succo di limone e quello di lime.

Per vedere la fine della ricerca di questa elusiva sostanza misteriosa alla base della malattia dei naviganti, bisogna fare un salto avanti fino al 1907 e ringraziare un insieme di circostanze fortunate.

Si dà il caso, infatti, che gli esseri umani, insieme a pochi altri mammiferi, come alcune scimmie, i pipistrelli, alcuni uccelli e alcuni pesci, sono fra i pochi animali che non sono in grado di sintetizzare da sé la vitamina C. Per la sintesi della vitamina C è infatti necessario un enzima detto L-gulonolattone ossidasi che gli esseri umani non possono più produrre in quanto il gene che lo codifica, pur essendo ancora presente nel nostro genoma, è stato reso inattivo da una mutazione. Nessuno di questi animali “difettosi” è usato normalmente come cavia da laboratorio e questo ha reso impossibile per lungo tempo replicare in laboratorio su degli animali i sintomi dello scorbuto per poterne indagare le cause. Fra i pochi animali che condividono con noi questa caratteristica, però, ci sono anche alcuni roditori fra cui il capibara e il porcellino d’india.

Durante le loro ricerche su un’altra malattia da carenza vitaminica, il beri-beri di cui parleremo più avanti, due ricercatori norvegesi, Axel Holst e Theodor Frølich cercavano un mammifero di piccola taglia su cui testare i risultati che avevano ottenuto in precedenti esperimenti sui piccioni. Il caso volle che fossero disponibili dei porcellini d’India anziché i più diffusi ratti da laboratorio che invece sarebbero stati immuni alla carenza di vitamina C. L’alimentazione che aveva provocato il beri-beri nei piccioni produsse invece i sintomi dello scorbuto nel porcellino d’India e fornì finalmente la cavia necessaria per impiantare una sperimentazione metodica volta alla scoperta delle cause di questa malattia.
Vent’anni dopo, nel 1927 il biochimico ungherese Albert Szent-Györgyi nella sua tesi di dottorato, isolò per la prima volta un acido organico, che chiamò acido hexuronico, sospettato di essere collegato allo scorbuto. La conferma definitiva arrivò finalmente nel 1932 grazie al ricercatore americano Charles Glen King dell’università di Pittsburg il quale, avendo ricevuto dei campioni di acido hexuronico dallo stesso Györgyi riuscì a dimostrare che quella sostanza era proprio il tanto cercato Acido Ascorbico! Vediamo sotto i ritratti di Albert Szent-Györgyi e Charles Glen King.

 

Oggi l’acido ascorbico, o vitamina C, è una sostanza ben nota e Györgyi è stato insignito del Premio Nobel nel 1937 per i suoi lavori ad essa correlati. Le fonti alimentari più importanti sono cavoli, broccoli, cavolfiori, spinaci, fragole, agrumi, peperoni e kiwi, consumati crudi, essendo la vitamina C termolabile. E’ utilizzato anche come additivo alimentare col codice E300 per la sua spiccata azione antiossidante e la sua capacità di mantenere stabili le vitamine A, E, l’acido folico e la tiamina. Viene utilizzato dalle industrie, come tale o sotto forma di sale sodico, potassico e calcico.