Il titolo di questo articolo è una parafrasi dell’opera di Vivaldi, “Il cimento dell’armonia e dell’inventione (Opus 8)” che è una raccolta di dodici concerti per violino (oboe a scelta in due concerti), archi e basso continuo composti da Antonio Vivaldi tra il 1723 e il 1725. Ciò che rende attinente l’opera di Vivaldi con l’ingegneria genetica, che è essenzialmente l’argomento dell’articolo, non è ovviamente la musica da camera, ma il modo in cui egli concepiva la creazione artistica.
Per Vivaldi, il compositore era colui che riusciva a conciliare le due forze contrapposte dell’estro, che è la spinta creativa, che porta l’originalità, la novità, i sentimenti di meraviglia e stupore, e l’armonia, che ne delimita i confini, detta le regole, vincola la composizione in qualcosa di intelligibile e interpretabile dagli ascoltatori.
Senza le leggi dell’armonia, la spinta creativa porterebbe al caos sonoro, in cui le note musicali sarebbero buttate alla rinfusa in un calderone agitato dall’emotività del compositore, ma l’armonia da sola produrrebbe composizioni schematiche, sterili, ripetitive e, in ultima analisi, di nessun interesse per nessun ascoltatore.
Qui si innesta il parallelo fra musica e scienza, che manterremo in questo articolo esponendo gli argomenti come se fossero i temi di una fuga.
Per centinaia di milioni di anni e più, la vita sulla Terra, dalla sua comparsa ai nostri giorni, è stata come una composizione musicale infinitamente complessa, con innumerevoli musicisti, partiture, motivi, ritornelli, temi, frasi e variazioni. La parte del compositore è stata ricoperta, per antropomorfizzare il concetto, dalla Natura che, come il musicista vivaldiano, ha sapientemente mediato, attraverso la selezione naturale, fra due forze contrapposte. Da un lato abbiamo il caso, che inietta la novità, l’eccezione, la variabilità delle forme e degli organismi, dall’altro abbiamo le inesorabili leggi della fisica e della chimica, ma anche della competizione e della disponibilità delle risorse, in un sistema che è chiuso e in cui tutti gli organismi devono poter trovare il proprio spazio per sopravvivere.
Ora, la Natura, per quanto personificata in questa analogia, è pur sempre un agente non intenzionale. Essa non persegue un fine di per sé, né possiamo applicare un’etica alle sue azioni, che non è neanche esatto definire “azioni” in senso stretto.
Se però l’agente che modifica e condiziona l’ecosistema diventa l’essere umano, che, non solo è senziente e intelligente, ma lo è abbastanza da proiettare nel futuro il risultato delle proprie azioni, beh, il discorso diventa molto, molto più spinoso e difficile studiare.
In questo articolo affrontiamo alcune questioni di natura bioetica. Tanti capoversi, purtroppo, termineranno con un punto interrogativo, in quanto lo scopo dell’articolo non è tanto quello di fornire risposte, che non è neanche detto esistano, ma stimolare la riflessione. Infatti, visto che nel campo della genetica gli esseri umani sono ancora come degli elefanti in un negozio di cristalleria, è bene che prestino per lo meno molta attenzione a come si muovono!
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