Fuga a tre voci – Risposta – Discrezionalità del bene comune

Il 26 novembre 2018, He Jiankui ( 贺建奎), genetista della Southern University of Science and Technology di Shenzhen, ha raccontato di aver modificato con la tecnica CRISPR il DNA degli embrioni di sette coppie sottoposte a trattamenti per la fertilità, terminati con la nascita di due gemelle identificate nei media con gli pesudonimi di Lulu (露露) e Nana (娜娜).

L’acronimo CRISPR sta per Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats e in italiano si può tradurre con brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari. Con questo termine si indica una famiglia di segmenti di DNA batterico che includono brevi sequenze che si ripetono e si sono originate dall’inclusione di pezzi di DNA virale che in passato aveva attaccato il batterio. In un certo senso queste sequenze ripetute hanno la funzione di “foto segnaletiche” che permettono al batterio di riconoscere il DNA di virus simili con cui potrebbe venire a contatto e quindi avere la possibilità di attaccarlo e distruggerlo. Una forma di difesa immunitaria. I ricercatori hanno poi scoperto che esistono particolari proteine che possono sfruttare la presenza di queste sequenze per effettuare dei tagli al filamento di DNA e inserirvi dei frammenti ad hoc. La tecnica utilizzata maggiormente è denominata Cas9 cioè CRISPR associated protein 9.

Il primo tentativo di usare questa tecnica su uno zigote umano risale al 2015 e spetta ad un altro gruppo di ricerca cinese in cui il dottor Rui Huang e i suoi colleghi i quali cercarono di dimostrare che, utilizzando la tecnica CRISPR/Cas9, sia possibile modificare singoli geni in un embrione in modo che tutte le cellule nate dalla sua moltiplicazione abbiano il gene modificato. Per questo utilizzarono cellule uovo, provenienti da una clinica della fertilità, che avessero un set extra di cromosomi essendo state fertilizzate da due spermatozoi. In questo modo avevano la possibilità di osservare il funzionamento della tecnica nei primi stadi dello sviluppo senza che l’esito risultasse in un embrione vivo.
Il loro studio era focalizzato sulla modifica del gene chiamato HBB che codifica la β-globina e le cui mutazioni sono responsabili della β-talassemia.
I risultati tuttavia non furono particolarmente incoraggianti e spinsero il team a fermare la sperimentazione. Infatti degli 86 embrioni utilizzati, dopo 48 in cui CRISPR/Cas9 avrebbe dovuto sostituire il gene bersaglio e dare il tempo all’embrione di dividersi in 8 cellule, solo 71 sopravvissero. Di questi 54 furono testati geneticamente e solo su 28 il DNA era stato tagliato correttamente e solo in una piccola frazione era stato inserito il gene corretto.
Secondo le parole dello stesso Huang, la tecnologia era ancora immatura.

A distanza di tre anni, l’obiettivo di He Jiankui non è stato prevenire una malattia ereditaria, ma provare a fornire ai nascituri un tratto genetico che alcune persone presentano naturalmente, e che conferisce un’aumentata resistenza all’HIV. Lo scienziato ha cercato di disabilitare un gene chiamato CCR5 che forma una “porta proteica” che permette all’HIV di entrare nelle cellule. Gli embrioni utilizzati nell’esperimento infatti sono stati ottenuti da coppie in cui solo l’uomo era affetto da HIV.
C’è da aggiungere che lo scopo che ha guidato queste coppie a prestarsi all’esperimento non è stato tanto quello di ridurre il rischio che il nascituro contraesse la malattia. Infatti gli uomini sieropositivi erano già in cura con antiretrovirali che di fatto rendevano intrasmissibile il morbo e vi sono precauzioni che possono essere prese per evitare del tutto il rischio.
Invece, dal punto di vista di una famiglia abituata a fare i conti quotidianamente con il pericolo di sviluppare la malattia, la speranza era di dare ai propri figli una protezione in più per non contrarla neanche in futuro.

Come ci si potrebbe aspettare, se lo studio di Huang era stato aspramente criticato e i suoi risultati rifiutati da alcune testate scientifiche, il lavoro di Jiankui è stato immediatamente condannato dalla comunità scientifica.
Infatti, se gli esperimenti di Huang potevano far temere usi sconsiderati delle tecniche genetiche che andassero contro i basilari diritti umani, nell’esperimento dei Jankui questo uso è diventato reale e ci sono due persone che ne faranno esperienza sulla propria pelle.

Ancora una volta, le motivazioni che hanno spinto lo scienziato cinese ad agire possono essere state le più nobili, ma la quantità di incertezza connessa con una tecnologia, se non acerba, per lo meno molto giovane, è ancora così alta che appare del tutto inappropriato condannare degli esseri umani a fare da cavia involontariamente.

Certamente, ora che la frittata è fatta, non ci resta che sperare che la modifica del gene obiettivo abbia avuto gli effetti desiderati, senza effetti collaterali e che le due bambine godano di una salute perfettamente nella norma avendo inserito nella popolazione una nuova linea di discendenza con un’aumentata resistenza al virus.