Fuga a tre voci – Controsoggetto – L’onere della conquista
Il tema del viaggio interstellare viene ripreso recentemente da Adrian Fartade in una puntata della rubrica Astrocaffè sul suo canale Youtube Link4Universe.
Anche in questo caso l’argomento del viaggio spaziale viene utilizzato come spunto per una riflessione etica.
Com’è noto le distanze siderali sono tali da rendere gli spostamenti fra corpi celesti troppo lunghi per essere affrontati dagli esseri umani nel corso della vita di una singola persona. L’oggetto celeste esterno al sistema solare più vicino a noi è Proxima Centauri che si trova alla ragguardevole distanza di 4 anni luce. Questo significa che, se anche ci fosse un mondo abitabile in orbita attorno a quella stella e supponendo di sottoporre l’ipotetica nave spaziale ad un’accelerazione sopportabile dai suoi occupanti, il tempo necessario per raggiungerlo si aggirerebbe intorno ai quarant’anni. A cui si dovrebbero aggiungere decine di anni per frenare e manovrare nel nuovo sistema solare alla ricerca dell’esopianeta desiderato.
Ovviamente questo tipo di destinazioni diventano raggiungibili se ammettiamo che non sia l’equipaggio di partenza a sbarcare sul nuovo mondo, ma un equipaggio composto dai suoi discendenti.
Il tema dell’astronave generazionale è un classico della fantascienza. Per esempio nel 1941 Robert A. Heinlein descrisse, nel suo romanzo Universo (Orphans of the Sky) il caso di un’astronave tanto sofisticata da non richiedere nessuna manutenzione ai suoi occupanti. A seguito di un ammutinamento l’astronave rimane senza guida e i discendenti dell’equipaggio originale perdono ogni riferimento esterno che renda evidente il fatto di essere in una nave spaziale. La Terra e la loro destinazione si perdono nel mito, e un sistema di superstizioni e credenze religiose viene instaurato a descrizione dei fenomeni che regolano la vita di bordo.
E’ evidente che per queste persone, nella loro ignoranza, il fatto di trovarsi su un’astronave si possa considerare perfettamente equivalente al trovarsi sulla Terra.
Ma se non ci fosse stato l’evento catastrofico a cancellare la memoria degli abitanti?
Come si sentirebbero le persone della seconda o terza generazione, le quali avrebbero davanti a sé l’unica prospettiva di continuare il viaggio col solo scopo di riprodursi sperando che i propri discendenti saranno in grado di portare a termine un progetto che è stato iniziato dai propri genitori, o addirittura antenati, senza che essi avessero nessuna voce in capitolo?
Riccardo Vessa dal suo canale Wesa Channel dà un giudizio totalmente negativo alla scelta dell’equipaggio originale di imbarcarsi nell’impresa.
Infatti per quanto nobili possano essere stati i propositi dei pionieri dello spazio, da un punto di vista delle generazioni successive, la partenza rappresenta una vera e propria condanna all’ergastolo, in una gabbia sparata nello spazio, per partecipare ad un esperimento scientifico di cui avrebbero ricoperto il ruolo delle cavie.
Le generazioni intermedie si troverebbero a dover sognare un mondo che non hanno mai conosciuto, senza neanche l’aspettativa di poterne conquistare uno per sé.
Diversa sarebbe l’interpretazione nel caso in cui l’equipaggio di partenza fosse stato in fuga da una Terra in balia di una devastazione catastrofica. In quel caso l’equipaggio non avrebbe avuto discrezionalità nella sua scelta di partire e quindi non gli si potrebbe ascrivere una responsabilità etica della sua scelta.
Ma se cambiassimo lo scenario e vedessimo l’equipaggio come un gruppo di migranti (come poteva essere stato il flusso migratorio che ha portato la gente dalla vecchia Europa verso il Nuovo Mondo) che si sposta alla ricerca di un futuro migliore e che sostanzialmente consegnerà alla propria progenie un mondo ancora tutto da costruire, saremmo ancora così sicuri di dover condannare quelle persone?
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