In questo fotogramma, il personaggio di Cypher, nel film The Matrix, medita il tradimento dei propri compagni in cambio di una esistenza virtuale fatta di lusso e agiatezza.
A parte il comportamento deplorevole nei confronti del resto dell’equipaggio del Nabucodonosor, la scelta di Cypher fornisce lo spunto per alcune considerazioni sul concetto di realtà e, soprattutto, sulla sua percezione.
Un’opinione particolarmente radicale sul modo in cui la percezione e la mente interagiscano è quella famoso filosofo empirista inglese David Hume il quale così si espresse nel suo Trattato sulla natura umana del 1739-40:
Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. […] La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. […] E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c’è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta.
L’approccio del filosofo potrebbe risultare eccessivamente riduzionistico a molti, ma le più recenti scoperte nel campo della neurologia hanno evidenziato come il nostro cervello, non solo sia in grado, nell’oscurità della scatola ossea in cui risiede, di decodificare un flusso di segnali elettrochimici che gli arrivano dalla periferia degli organi di senso, ma di costruire un vero e proprio mondo interiore che viene poi riproposto come una narrazione coerente alla propria parte cosciente.
Vediamo di seguito alcuni esempi che mettono in luce questo lavoro hardware che avviene prima che esso raggiunga la consapevolezza, iniziando con i meccanismi legati alla visione.
Un concetto chiaro e distinto
Nel paragrado sui Cervelli pre-cablati dell’articolo sugli Errori selezionati, avevamo visto alcuni esempi di illusioni ottiche per illustrare il fatto che i meccanismi della visione si sono evoluti per essere efficienti in un ambiente naturale e possono essere ingannati se gli stimoli visivi sono organizzati artificialmente in maniera opportuna.
Guardiamo ora il problema da un altro punto di vista (il gioco di parole è voluto!).
Nonostante noi siamo immersi in un mondo tridimensionale, i nostri occhi ne percepiscono una proiezione bidimensionale attraverso gli stimoli nervosi che vengono generati dalla luce che colpisce la superficie della retina.
Quindi ciò che raggiunge il cervello, non solo sono impulsi elettrochimici trasportati dai neuroni, e quindi già di per sé c’è una catena di trasduzione:
oggetto fisico → luce riflessa → reazione chimica nei coni e bastoncelli → segnale elettrico lungo i neuroni → cervello
ma c’è anche la perdita di una dimensione!
Il fatto che alla nostra percezione cosciente arrivi l’idea che ci troviamo in un mondo tridimensionale è frutto di una sintesi di livello più alto che il cervello opera facendo il confronto fra le due immagini bidimensionali leggermente sfasate dei due occhi, più una serie di indizi, come la prospettiva, la parallasse e il confronto fra le dimensioni relative di oggetti noti.
La cosa che ci interessa sottolineare qui è che non solo il cervello è molto abile ad interpretare, pur con le limitazioni di cui abbiamo parlato, i segnali che gli arrivano, ma gioca un ruolo attivo a riempire i buchi percettivi per creare una rappresentazione consistente di alto livello per poi sottoporla alla coscienza.
Nell’immagine sotto (cliccare per ingrandire) vediamo il classico esperimento per rivelare la presenza della macchia cieca.
Fissando la croce con l’occhio sinistro alla giusta distanza si vedrà scomparire il cerchietto e viceversa con l’occhio destro.
Questo è dovuto al fatto che il “progetto” dell’occhio umano ha un difetto di base: le cellule sensibili, coni e bastoncelli, sono orientate con la faccia sensibile verso il fondo dell’occhio. Quindi, non solo la luce deve attraversare tutto il corpo cellulare per eccitare le molecole sensibili, ma gli assoni che trasportano il segnale verso il nervo ottico devono percorrere la superficie anteriore della retina per poi raccogliersi in un punto e attraversarla e dirigersi verso il nervo ottico. Questo causa una interruzione nella continuità della retina e genera una zona non sensibile detta macchia cieca.
Normalmente non ci rendiamo conto della sua esistenza perché il cervello “riempie” il buco con uno sfondo uniforme. Per questo motivo, guardando l’immagine di cui sopra, quando il cerchietto si trova in corrispondenza della macchia cieca, non abbiamo la sensazione che manchi qualcosa. L’hardware della nostra corteccia visiva trasmette alla nostra parte cosciente l’immagine di uno sfondo bianco uniforme, senza soluzione di continuità. Questo meccanismo di “completamento” è così efficiente che molti pazienti con deficit del campo visivo anche gravi, non si recano da uno specialista per farsi curare perché semplicemente non si rendono conto del problema finché la mancanza non diviene veramente significativa.
Analogamente la nostra impressione di percepire un mondo nitido e pieno di dettagli è una pura illusione, in quanto la parte del nostro campo visivo in cui la visione è realmente nitida ha un’ampiezza di soli 20° circa verso il centro. Alla periferia la visione è meno nitida, meno colorata e tendenzialmente distorta dalla sfericità del bulbo oculare. Di seguito una simulazione della percezione reale di una scena da parte dell’occhio.
Ancora una volta è il cervello che unisce le immagini percepite come tessere di un mosaico, selezionando le porzioni a massima sensibilità, correggendo le esposizioni, sottraendo le dominanti cromatiche, per darci l’impressione di vedere il mondo senza buchi, sempre al massimo della nitidezza, risoluzione e coerenza dei colori e delle dimensioni.
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