Che paura! Anzi no…
Avvicinai il viso ad una spessa lastra di vetro di fronte ad una vipera nel Giardino Zoologico, con la ferma determinazione di non indietreggiare nel caso essa mi avesse attaccato; ma appena essa si lanciò all’attacco, la mia risoluzione non valse a nulla, e io saltai uno o due metri indietro con stupefacente rapidità – Darwin C. (1872) The Expression of Emotions in Animals and Man
Charles Darwin ci riporta questo aneddoto per illustrare quanto possano essere forti e incontrollabili alcune reazioni istintive e come queste possano essere precablate nel nostro inconscio senza che ci sia stata una esperienza precedente a condizionarle.
Che sia vero o meno il fatto che la paura dei serpenti sia innata o appresa, il meccanismo neurale che ci permette di reagire in maniera pronta ed efficace a dei pericoli improvvisi ci viene spiegato dal neurobiologo Joseph LeDoux il quale, studiando l’anatomia cerebrale attraverso tecniche di neuro-formazione di immagini, ha chiarito, nei primi anni 90, il ruolo fondamentale rivestito dall’amigdala nella percezione del pericolo.
Secondo la teoria di LeDoux, le informazioni che segnalano la presenza, reale o presunta, del pericolo, vengono ovviamente acquisite attraverso gli organi di senso e elaborate dalla corteccia sensoriale. Tali informazioni raggiungono poi l’amigdala attraverso due strade, un percorso diretto, proveniente dal talamo e chiamato strada bassa e un percorso indiretto, detto strada alta, che dal talamo passa prima dalla corteccia prefrontale, dove vengono elaborate e interpretate dalla mente cosciente, e solo dopo dalla corteccia arrivano all’amigdala. La via talamo-amigdala è ovviamente più breve e il sistema di trasmissione è più veloce. La strada bassa, non sfruttando l’elaborazione corticale fornisce all’amigdala una rappresentazione approssimativa ed imprecisa dello stimolo, ma sufficiente ad innescare una tempestiva reazione al pericolo, come il salto all’indietro descritto da Darwin.
Il motivo per cui questo episodio viene citato in questa sede è perché si tratta di un altro caso in cui la consapevolezza arriva per ultima in una sequenza di azioni e reazioni neurali di cui non può che prendere atto a giochi fatti. In questo caso la sensazione psicologica è quella, nel caso in cui il pericolo non si sia rivelato reale, di essersi spaventati per niente anche se, in un certo senso, “lo sapevamo già”. Cioè, ancora una volta per effetto della retrodatazione degli eventi, similmente a quanto illustrato nel paragrafo precedente, abbiamo la sensazione di aver sempre saputo che il pericolo era inesistente e, nonostante tutto, di esserci spaventati ugualmente.
I fenomeni fin qui descritti rappresentano una piccola porzione del lavoro che il nostro cervello fa “dietro le quinte” per organizzare le percezioni che gli arrivano dagli organi di senso in un unico flusso coerente con lo svolgimento temporale degli eventi nel mondo esterno. Se due eventi sono contemporanei nella realtà devono essere presentati contemporaneamente anche alla nostra consapevolezza, anche se i segnali che li rappresentano sono arrivati al cervello in tempi diversi, perché afferenti da aree diverse del nostro corpo, o hanno richiesto un tempo diverso di elaborazione per essere interpretati.
Un fatto particolarmente interessante, e per certi versi sconvolgente, è però emerso quando i neurologi hanno iniziato ad usare la Risonanza Magnetica Funzionale e la Stimolazione Magnetica Transcranica per spiare l’attività del cervello durante specifici compiti e indurre reazioni in porzioni del cervello senza coinvolgerne altre.
Si è visto che l’impulso che parte dal cervello per contrarre, per esempio una mano, parte con qualche millisecondo di anticipo rispetto a quanto il soggetto pensa di aver deciso di farlo! Ciò che emerge da questi esperimenti, i più famosi sono quelli di Libet dei primi anni ’80, è un quadro raccapricciante in cui, nella vita di tutti i giorni, il nostro cervello effettua continuamente delle scelte e prende delle decisioni in maniera totalmente inconscia e si convince a posteriori di avere effettuato quelle scelte consapevolmente. In pratica il cervello non solo è molto bravo ad interpretare i segnali sensoriali, ma anche a costruirsi un modello di realtà in cui inserirli, e l’io consapevole non è che un attore sullo quello stesso palcoscenico.
Un caso estremo in cui questa tendenza del cervello di mantenere una visione unitaria della realtà e del proprio posto in essa, come mostrato dagli esperimenti di Michael Gazzaniga, è stato osservato nei pazienti in cui sia stato sezionato il corpo calloso separando i due emisferi.
In queste persone le due metà del cervello non sono più in grado di comunicare, per cui è possibile somministrare stimoli diversi ai due occhi in modo che un emisfero veda delle immagini diverse dall’altro. In un famoso esperimento, ad un paziente sono state presentate due scene, un paesaggio innevato all’occhio sinistro e la zampa di un volatile all’occhio destro. E’ possibile chiedere al paziente di compiere delle azioni sulla base di ciò che viene visto, sapendo che la mano destra agirà in accordo con quanto visto dall’occhio destro e elaborato dall’emisfero sinistro, mentre occhio e mano sinistra saranno gestiti dall’emisfero destro. Nell’esperimento di Gazzaniga, il paziente scelse l’immagine di una gallina con la mano destra e un badile (evidentemente pensando alla neve da spalare) con la mano sinistra. Quando fu chiesto al paziente di spiegare il perché della scelta, tuttavia, la risposta verbale fu necessariamente elaborata dall’emisfero sinistro in cui risiede il centro del linguaggio e che è letteralmente all’oscuro di quanto visto dall’emisfero destro. La risposta fu che, avendo visto la zampa di un volatile, egli avesse scelto la corrispondente immagine di una gallina e un badile per pulirne gli escrementi. Vi è quindi una tendenza inconscia, da parte dell’emisfero sinistro, a costruire una narrazione interna per spiegare le proprie azioni, ipotizzando quale sarebbe potuta essere l’immagine vista dall’occhio sinistro, e presentarla come reale alla consapevolezza del paziente, il quale si dice convinto di aver visto ciò che la propria parte inconscia ha solo “ricostruito”.
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