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Spezie “cum grano salis”

In questo paragrafo parliamo di alcune sostanze che sono state al centro di un acceso dibattito nel passato recente.

Semi di finocchio: estragolo

semi-di-finocchioIl primo della lista è il famigerato estragolo (o in termini scientifici p-allilanisolo, metil-cavicolo), una sostanza presente in molti olii essenziali in particolare di basilico, finocchio, dragoncello e anice, per citare dei nomi che possiamo incontrare in cucina.
In questo caso la bomba mediatica è scoppiata nel novembre del ’99 con la pubblicazione di uno studio della California Environmental Protection Agency che dimostrava l’insorgenza di tumori in cavie trattate con estragolo.
Nel settembre del 2001 la deflagrazione approda in Europa con un documento del Scientific Committee on Food che ratifica sostanzialmente i risultati dello studio del ’99. Più recentemente gli stessi risultati sono stati riproposti, dandovi un taglio più orientato alla salute pubblica che alla ricerca, dall’EMEA nel 2005 e dall’INRAN nel 2010.
Nell’arco di tempo descritto vi è stato un rincorrersi di notizie allarmistiche sulla tossicità soprattuto delle tisane al finocchio, che si stavano diffondendo come rimedio contro il gonfiore intestinale anche per i neonati, mentre le ultime pubblicazioni citate cercavano di gettare acqua sul fuoco.

Anche in questo caso, come succede troppo spesso nel campo dell’informazione di argomento alimentare, tutto è scaturito dal voler generalizzare l’effetto di una sostanza sul corpo umano senza prendere in considerazione la quantità con cui questa viene assunta.

Nel cercare di determinare se una sostanza sia cancerogena o meno, gli studiosi hanno praticamente solo due strade: fare un’analisi epidemiologica utilizzando grandi quantità di dati su campioni estesi di soggetti per un periodo di tempo anch’esso molto esteso (e queste condizioni capitano molto di rado) oppure iniettare quantità molto concentrate della sostanza in esame in un campione di cavie da laboratorio e cercare di capire cosa succede e come.
Questo è proprio ciò che è successo in questo caso. Un certo campione di ratti è stato trattato con estragolo concentrato somministrato per via perineale o sottocutanea per un periodo prolungato fino all’insorgere della malattia.
Già questo dovrebbe porre fine al discorso: gli esseri umani non si iniettano dosi mostruose di estragolo per via sottocutanea! Al massimo una tisana ogni tanto.
La dose fa la differenza.
La quantità contenuta nelle spezie citate, nell’uso che se ne fa è sufficientemente piccola da scongiurare il pericolo dell’estragolo. Come dimostrano secoli di uso gastronomico di queste piante.
Secondo lo studio dell’EMEA, la quantità di estragolo innocua per un essere umano arriva a 1-10mg/kg di peso corporeo e tale quantità è da 100 a 1000 volte maggiore di quella normalmente assunta nell’alimentazione.
Per completezza bisogna aggiungere che la bilancia dell’informazione scientifica ultimamente pende dal lato opposto, cercando di dipingere le tisane di finocchio come una panacea in virtù di sotanze antiossidanti che non solo avrebbero il potere di bloccare l’estragolo, ma curerebbero diversi tipi di disturbo.

Ovviamente quanto detto per il “maligno” estragolo, vale anche per tutte le altre sostanze. Cioè, anche per le sostanze che “fanno bene”, affinchè il loro effetto sull’organismo sia significativo, è necessario che se ne assuma una quantità sufficiente. Non sono riuscito a trovare studi quantitativi e, al momento, su molte di queste sostanze vi sono solo studi che riportano correlazioni più o meno forti fra la loro l’assunzione e la mancanza di qualche disturbo. Correlazione non significa implicazione!

In ogni caso, se di tisane contenenti estragolo se ne inizia a fare un uso intensivo, frequente e con quantità importanti, l’assunzione della sostanza può raggiungere quella di un farmaco e come tale è consigliabile consultare un medico il quale saprà stabilire, caso per caso, se si tratti effettivamente di una quantità sicura o meno.

Noce moscata: miristicina

La sostanza di cui ci occupiamo adesso ha anch’essa una storia controversa: la miristicina. Questa sostanza prende il nome da uno dei frutti che la contiene in quantità significativa, la noce moscata, in latino Myristica fragrans.

noce-moscataLa diffusione della noce moscata in Europa risale all’11°secolo per mano dei commercianti arabi che la utilizzavano per aromatizzare la birra. Il commercio di noce moscata divenne però significativo soltanto nel 16° secolo, quando i marinai portoghesi (e successivamente quelli olandesi) veleggiarono verso le famose «isole delle spezie», le Molucche, e diedero inizio a un commercio estremamente lucrativo.
La miristicina in particolare è una sostanza presente nell’olio essenziale di diverse spezie usate in cucina, per esempio, oltre alla citata noce moscata, la troviamo nel prezzemolo e nell’aneto.
In media 20 grammi di noce moscata contengono circa 150mg di miristicina che è la sostanza ritenuta la principale responsabile degli effetti psicoattivi della noce moscata. In realtà la miristicina da sola, per produrre degli effetti deve raggiungere il dosaggio di almeno 400mg, mentre nella noce intera sono presenti altre sostanze che hanno effetto sinergico.
L’ingestione di almeno 5 grammi di noce moscata provoca intossicazione acuta da noce moscata, che include vertigini, allucinazioni, sensazione di costipamento, nausea, sensazione di spersonalizzazione, euforia, panico. I sintomi appaiono solitamente dalle 3 alle 6 ore dall’ingestione di 1-3 noci intere o 5-15 grammi di spezia grattuggiata. Il recupero di solito avviene in 24 ore. Cionondimeno la durata degli effetti in alcuni casi può protrarsi anche per diversi giorni o portare alla morte.
L’interesse farmacologico verso la noce moscata è cresciuto verso la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, quando si è diffuso il suo uso come droga, portando alla sua identificazione come catecolaminergico a fianco di mescalina e amfetamina.

Anche in questo caso la dose fa la differenza.
In qualsiasi ricetta non è prevista più di una spolverata di noce moscata, che rimane una spezia deliziosa, e questo ci mette al sicuro da qualsiasi effetto allucinatorio.

Basilico: metileugenolo

Abbiamo incontrato di sfuggita il basilico nel paragrafo riguardante l’estragolo. Si dà il caso infatti che la varietà basilico napoletano contenga metilcavicolo, che è un altro modo di denominare l’estragolo.

basilicoLa sostanza che ci interesa in questo paragrafo però si chiama metileugenolo ed è presente soprattutto nel basilico genovese, quando le piantine sono piccole, accanto all’eugenolo. Al crescere della pianta il metileugenolo si trasforma in eugenolo.
Le gli studi sulle caratteristiche cancerogene del metileugenolo risalgono ai primi anni ’90 e in Italia la polemica attorno a questa sostanza è scoppiata nel 2004 nell’ambito del dibattito più ampio sugli OGM. Chi ha pubblicizzato la presenza di metileugenolo nel basilico aveva intenzione di sottolineare come sia sopravvalutato il rischio di pericolosità degli OGM e al contrario sottovalutata la certezza di pericolosità di alimenti non OGM. Il risultato però è stato quello di generare una polemica con i produttori di pesto!
In realtà, la storia del metileugenolo è molto simile a quella dell’estragolo. Sono stati fatti dei test su cavie da laboratorio utilizzando dosaggi molto elevati di questa sostanza ed è stata osservata l’insorgenza di patologie varie. Di conseguenza c’è una possibilità che la sostanza abbia degli effetti anche sugli esseri umani, ma tali effetti e i dosaggi necessari non sono stati ancora determinati, come conclude la commissione europea che ha esaminato i risultati clinici.
Quindi, ancora una volta, possiamo mangiare la nostra pasta al pesto in tutta sicurezza poichè la quantità di metileugenolo che può esservi contenuta è del tutto irrisoria.

1 commento

  1. Molto interessante.
    Grazie

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