Tabernas, il deserto in Europa

Teatro di celebri pellicole cinematografiche (la Trilogia del Dollaro o C’era una volta il West di Sergio Leone, per citarne alcune) il Desierto de Tabernas in Andalusia, nella Spagna meridionale, è l’unico territorio ufficialmente definito deserto in Europa, anche se la sua formazione non è dovuta alla circolazione dell’aria a livello globale, ma piuttosto alla conformazione orografica delle colline circostanti che impediscono ai venti umidi provenienti dal Mediterraneo di portarvi sufficienti precipitazioni.
Le piogge occasionali che investono il deserto di Tabernas, oltre che rare, hanno carattere torrenziale e causano il fenomeno di dilavamento del substrato fertile in maniera analoga a quanto abbiamo visto nel Sahel.
L’equilibrio ecologico che si è instaurato nella regione ha visto l’adattamento a questo clima arido ed estremo di numerose specie di animali e piante ed è una destinazione turistica importante potendo collegare l’affascinante paesaggio naturale con l’attrazione che esercitano i luoghi e le scenografie usate nell’industra cinematografica.
Tuttavia, come nei casi visti precedentemente, l’attività umana sta dando un’importante spinta alla desertificazione e all’inaridimento delle zone limitrofe.
Grande protagonista in questo processo è la coltivazione dell’ulivo, tradizionalmente diffusa nelle zone più aride del Mediterraneo e il bacino di Tabernas-Sorbas non fa eccezione. Come documentato da un articolo del 2020, nella regione la coltivazione dell’ulivo occupava, nel 1950, circa 200 ettari, per irrigare i quali si prelevava acqua dalle falde che alimentano la sorgente de Los Molinos del Río Aguas.
I consistenti profitti legati a questa coltura però hanno spinto verso un sempre più intenso sfruttamento del territorio, tanto che ad oggi l’area coltivata è arrivata a coprire 4000 ettari con una densità di alberi che è passata da 210 a 1500 alberi per ettaro.
A farne le spese in maniera più evidente sono state le sorgenti de Los Molinos che sono passate da una portata di 40 litri al secondo nel periodo 1970-2000 agli attuali 7.28 mettendo in evidenza la sensibile riduzione nella disponibilità di acqua nel sottosuolo al mantenimento dell’ecosistema.

Purtroppo, in mancanza di direttive esplicite da parte della commissione europea, il problema non è ancora stato affrontato in maniera sistematica. Come nota positiva in chiusura di questo paragrafo, vale la pena citare un’iniziativa privata di alcuni agricoltori locali, consociati nel progetto Regeneration Academy.
La Regeneration Academy è ospitata dalla fattoria biologica de La Junquera, nella provincia di Murcia, e vi si applicano e insegnano tecniche che permettono un’agricoltura sostenibile che non prosciuga le falde acquifere e incoraggiano l’incremento della biodiversità.
Fra i metodi per contrastare l’erosione del terreno e recuperare l’acqua piovana troviamo una tecnica non dissimile da quella che abbiamo incontrato nel paragrafo dedicato al Sahel: gli swales, chiamati in italiano fosse livellari.
Ancora una volta viene riscoperta una tecnica antica ed efficace nella sua semplicità. Le fosse livellari non sono altro che semplici trincee poco profonde scavate nel terreno, specialmente in zone dove la pendenza favorirebbe un deflusso troppo veloce dell’acqua, in modo che questa venga trattenuta abbastanza da essere assorbita dal terreno e dal substrato organico. A valle delle fosse si piantano delle piante azoto-fissatrici che innescano il processo di fertilizzazione.

Ci auguriamo che il dibattito sul cambiamento climatico porti ad una maggiore sensibilizzazione anche nei confronti di questi temi più legati al mondo agricolo.
Infatti se da un alto è corretto parlare di carbon footprint e dell’impatto dello sfruttamento energetico a livello industriale, è altrettanto importante evidenziare come anche lo sfruttamento agricolo incontrollato possa portare danni considerevoli all’ambiente.
Ricordiamolo, l’ecosistema Terra è sempre e solo uno, interconnesso in tutte le sue parti, anche a migliaia di chilometri di distanza.