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Fallacie, sofismi e paralogismi

Le fallacie formali riguardano errori di ragionamento in senso strettamente logico e riguardano il modo in cui esso è stato formulato. Sono dei tipi di fallacia che si prestano meno di quelle viste finora ad essere utilizzate in un dibattito in quanto non fanno appello alla parte emotiva e irrazionale del nostro cervello. Per questo motivo, di fronte ad un ragionamento logico errato, anche chi non conosce esattamente le fallacie che andremo di seguito a descrivere, riesce spesso, se non ad individuare chiaramente l’inghippo, per lo meno a sospettarne l’esistenza.

La fallacia ricorsiva, a volte detta anche fallacia fallace (inglese fallacy fallacy), consiste nel rigettare come falsa una affermazione perché è stata argomentata male.
Fra le fallacie formali è quella che più si presta ad essere utilizzata in un dibattito in quanto, sfruttandola ad arte, è sufficiente per uno degli interlocutori individuare un errore nel ragionamento dell’avversario per invalidare l’intera argomentazione

Nella vignetta a fianco possiamo vedere un esempio piuttosto contorto di questo concetto.
Dicendo che Hitler usò degli argomenti “ad hominem” si sta essenzialmente eseguendo quello che viene comunemente chiamata una “reductio ad hitlerum”. Cioè si sta dipingendo una argomentazione come fallace perché si implica che sia errata attraverso l’accostamento all’archetipo del male assoluto, Adolf Hitler, senza entrare nel merito di ciò che l’argomentazione in sé sostenga. In realtà è perfettamente vero che usare un’argomentazione “ad hominem” sia fallace, per i motivi visti nei paragrafi precedenti, quindi la conclusione del ragionamento è vera nonostante il ragionamento stesso sia fallace.
Per inciso, un’argomentazione “ad hitlerum” viene generalmente catalogata come un particolare tipo di “ad hominem”, rendendo questa vignetta ancor più “ricorsiva”.

Le fallacie di composizione e divisione si commettono quando si fa un ragionamento su qualcosa che è parte di un assieme più grande pretendendo che esso sia valido sia per l’una che per l’altro e viceversa.
E’ certamente vero che questa possibilità si possa verificare, ma non c’è alcun motivo logico per cui ciò debba essere vero sempre.
Ecco alcuni esempi classici per quanto riguarda la composizione:

  • Nessun tipo di atomo è vivo, quindi nulla di ciò che è costituito da atomi è vivo
  • Gli atomi sono invisibili, quindi tutto ciò che è fatto di atomi è invisibile.
  • Chi si alza in piedi durante una partita di calcio ha una visibilità migliore, quindi se tutti si alzano in piedi avranno una visibilità migliore.
  • Il corridore che corre più veloce vince la gara, quindi se tutti i corridori corrono più veloci vinceranno tutti la gara.

Per fare un esempio meno banale riguardo la fallacia di composizione, possiamo citare il Paradosso di Condorcet in cui si mette in luce come, pur ipotizzando che ogni elettore sia un agente perfettamente razionale, il corpo elettorale nel suo complesso, applicando la regola del voto a maggioranza, possa avere un comportamento irrazionale, o più precisamente paradossale.

La fallacia di divisione è il complemento di quella di composizione, in quanto cerca di inferire le proprietà delle parti partendo da quelle del tutto.
Un esempio molto semplice potrebbe essere: in Italia si mangia molta pasta quindi Tizio essendo italiano mangia molta pasta.
In filosofia le prime teorie atomiste, per esempio pensiamo ad Anassagora, commettevano questo tipo di fallacia in quanto assumevano che gli atomi di una particolare sostanza dovessero avere tutte le proprietà di un campione macroscopico della stessa: un “atomo di acqua” doveva essere bagnato, “atomi di lana” dovevano essere soffici, eccetera.
Ancora una volta, un esempio meno banale ci viene dalla statistica con il Paradosso di Simpson, in cui inferenze statistiche fatte sulla popolazione sono differenti da quelle fatte sui campioni.

Questa fallacia prende anche il nome di Diallele o Ragionamento Circolare ed è una forma di Petizione di Principio, cioè un ragionamento in cui le conclusioni sono implicitamente contenute delle premesse.
Le due fallacie, il ragionamento circolare e la petizione di principio, non sono esattamente la stessa cosa, ma sono strettamente imparentate e sono usate spesso in modo intercambiabile.

Un esempio tipico di ragionamento circolare potrebbe essere: Dio esiste perché è scritto nella Bibbia e ciò che è scritto nella Bibbia è vero perché è la parola di Dio.

Invece un esempio di petizione di principio potrebbe essere: l’aborto è l’uccisione ingiustificata di un essere umano e quindi dovrebbe essere illegale come lo è l’omicidio. In questo caso il ragionamento non spiega perché l’aborto dovrebbe essere illegale, ma lo assume implicitamente nella premessa in quanto lo equipara da subito ad un omicidio. Oppure ancora più semplicemente: un essere umano è un animale che ha genitori umani.

In inglese questo tipo di fallacia viene denominata Begging the Question che significa letteralmente “elemosinare la domanda” derivando da una cattiva traduzione del 16mo secolo della locuzione latina “petitio principii” che significa “postulato all’inizio” dove “petitio” assume il significato di “postulato”, che aveva in epoca post-classica, ed era stato usato con questo significato da qualche traduttore medioevale che riportava il pensiero di Aristotele sull’argomento.
Il filoso greco infatti aveva già individuato questa fallacia descrivendola come τὸ ἐν ἀρχῇ αἰτεῖσθαι e τὸ ἐν ἀρχῇ λαμβάνειν (to en arké aiteisthai – to en arké lambànein) che si possono tradurre “chiedere il punto iniziale” e “assumere il punto iniziale”.

Queste sono le fallacie più classiche che vengono in mente quando si parla di errori di ragionamento.
L’affermazione del conseguente è un’errata applicazione del modus ponens:

[(p ⇒ q) ∧p] ⇒ q.

che espresso in parole significa:

se è vero p ed è vero che p implica q, allora è vero anche q

Chi commette la fallacia di affermazione del conseguente dice erroneamente che:

[(p ⇒ q) ∧q] ⇒ p.

Che in parole si esprime come:

Se è vero che p implica q ed è vero q, allora è vero anche p.

che è ovviamente un ragionamento errato in quanto l’implicazione significa che la verità di p forza la verità su q ma q di per sé potrebbe essere vero per i fatti suoi, anche indipendentemente da p.
Nella vignetta sopra troviamo una simpatica applicazione di questa fallacia.

La negazione dell’antecedente è un’errata applicazione del modus tollens:

[(p ⇒ q) ∧ ¬ q] ⇒ ¬p.

che espresso in parole significa:

se è vero che p implica q, ma q è falso, allora è falso anche p.

Chi commette la fallacia di negazione dell’antecedente dice erroneamente che:

[(p ⇒ q) ∧ ¬ p] ⇒ ¬ q

che espresso in parole significa:

se è vero che p implica q, ma p è falso, allora è falso anche q

che è un ragionamento errato per lo stesso motivo visto sopra solo che qui anziché fare un’assunzione irrilevante sulla verità di q, se ne fa una sulla falsità di p. Anche qui si può vedere nella vignetta un esempio di ragionamento fallace.

Per completezza aggiungiamo che entrambe le formulazioni errate diventerebbero accettabili se, al posto dell’implicazione, ci fosse una doppia implicazione:

[(p ⇔ q) ∧ q] ⇒ p

[(p ⇔ q) ∧ ¬ p] ⇒ ¬ q

in quanto la doppia implicazione fa sì che i valori di verità di p e q debbano essere sempre allineati.

Uno dei principi della logica classica, di aristotelica memoria è il cosiddetto principio di non contraddizione:

¬[A ∧ ¬ A]

che detto in parole significa: non è verro che l’enunciato A e contemporaneamente vero e falso.
Nella sua forma più semplice questa fallacia è usata per frasi ad effetto come: non mi interessa cosa tu creda, purché le tue credenze non rechino danno agli altri. Un altro esempio si può trovare nella vignetta in apertura di questo stesso articolo.

Si tratta di un’affermazione così intuitivamente auto-evidente che è quasi superfluo darne una dimostrazione. Il motivo per cui vale la pena citare la fallacia autocontraddittorietà, in cui si fanno affermazioni che violano questo principio basilare, è che è strettamente correlata ad un teorema molto interessante denominato con la locuzione latina “ex falso sequitur quodlibet”: da una falsità si può derivare qualsiasi cosa.
Utilizzando la notazione simbolica, questo teorema si indica così:

[A ∧ ¬ A]⇒B

Per darne un esempio simpatico, possiamo citare, ancora una volta Bertrand Russell, il quale dimostrò di essere il Papa partendo dall’assunzione falsa che 2+2=5:

Supponiamo che sia vera un’affermazione falsa come 2+2=5, allora sottraendo 3 da entrambi i membri otteniamo: 1=2. Ora, io e il Papa siamo due, ma 2=1 quindi io e il Papa siamo uno, quindi io sono il Papa.

N.B. Per riconoscere nell’enunciato di Russell la formulazione che abbiamo dato sopra, basti pensare l’enunciato A come “2+2 è diverso da 5” e l’enunciato non-A come “2+2 è uguale a 5”

Per concludere citiamo la fallacia di pseudo transitività che è un errore di ragionamento basato sulla nota proprietà transitiva:

Se A è in relazione con B e B è in relazione con
C allora A è in relazione con C

Questo enunciato non è sempre vero, ma lo è solo in alcuni casi in cui la relazione in oggetto gode effettivamente della proprietà di transitività.

Quindi è corretto dire che: se A è uguale a B e B è uguale a C, allora A è uguale a C.
Si può anche dire che: se A è più grande di B e B è più grande di C, allora A è più grande di C.

Questo è vero perché la relazione di uguaglianza e di maggioranza godono entrambe della proprietà transitiva.

Consideriamo però un enunciato del tipo: Anna è consanguinea di Bruno e Bruno è consanguineo di Carlo.
Possiamo forse dedurre che Anna è consanguinea di Carlo?
Istintivamente, un enunciato di questo genere porta a pensare ad un gruppo di fratelli, tutti consanguinei fra loro, per cui la conclusione proposta sia valida.
Con un po’ di attenzione ci si accorge però che la relazione di consanguineità è più vasta e include anche la definizione di genitorialità.
Quindi nel caso in cui Anna sia la madre di Bruno e Carlo il padre di Bruno, le due espressioni sarebbero comunque vere ma la conclusione che Anna sia consanguinea di Carlo sarebbe generalmente falsa (almeno escludendo rapporti incestuosi fra i genitori di Bruno).

D’altronde sappiamo tutti per esperienza vissuta che se A è amico di B e B è amico di C, non necessariamente A è amico di C!

2 commenti

  1. Ottimo lavoro, caro Stefano, l’articolo è chiaro e gli esempi assai azzeccati.

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